Khalida
Messaoudi, algerina, da sempre si batte per la democrazia, per
uno stato laico e per i diritti femminili in un paese dove il fondamentalismo
islamico tenta ancora oggi, a guerra civile terminata, di annientarne
i valori.
1) I Berberi sono una popolazione autoctona dell'Africa settentrionale.
Non hanno mai dato vita a stati nazionali pur contribuendo alla vita
politica dei territori. Hanno avuto sempre rapporti ambivalenti con
gli invasori: accettazione dell’ordine statuale, usi, lingua dell’invasore;
ribellione quando il vincolo diventava troppo pesante o ingiusto.
Con l’invasione araba i Berberi si convertirono alla fede musulmana,
pur preferendo i gruppi religiosi dell’opposizione. In Algeria il
gruppo berbero si stabilisce in Cabilia, di qui cabili, con cui si
designa le tribù islamizzate. QUINDICI
PENSIERI DI KHALIDA MESSAOUDI 1. Dedico il libro “Una donna in piedi” a tutte le donne violentate o assassinate dai gruppi armati del FIS. Agli intellettuali, ai bambini, agli artisti, ai giornalisti e a tutte le vittime della barbarie integralista. A tutti i militanti e le militanti che salvano l’onore dell’Algeria. 2. Come mi mantengo da quando sono ricercata dagli integralisti? Mio padre e quelli tra i miei sette fratelli e sorelle che ne hanno la possibilità fanno ogni mese una colletta per darmi l’equivalente del mio stipendio di ex-insegnante di matematica. 3. Per dare scacco alla morte bisogna innanzi tutto non uccidere se stessi, in nessun modo. Per non uccidere se stessi ci sono due trappole da evitare: quella della vergogna e quella dell’odio. 4. A diciassette anni, ho cominciato a sentirmi turbata dalla posizione dei fedeli nella preghiera musulmana. Prostrarsi a quel modo, con la testa a terra...lo trovavo umiliante. Mi sono messa a cercare nel Corano a quali direttive corrispondesse: nessuna. Mi sono detta “Io ho una grande e bella idea di Dio. Non vedo perché dovrei sminuirla adottando questa posizione da schiava”. E ho deciso di dire la preghiera in maniera diversa. Sono una musulmana laica. 5. Da quando a 21 anni ho preso le distanze dai comunisti, mi sono rifiutata di subordinare la questione delle donne a un partito. E adesso più che mai. In me la dimensione “donna” alla ricerca di una repubblica paritaria e laica prevale su tutte le altre componenti della mia identità. Sono donna prima di essere algerina, berbera, mediterranea, musulmana, combattente. 6. Faccio parte di una particolare generazione di algerini. Sono a mezza strada tra i vecchi dell’FLN (Fronte di Liberazione Nazionale) che hanno sfruttato l’Algeria per quasi 35 anni, che l’hanno snaturata, e i giovani praticamente analfabeti, senza né lavoro né casa, che subiscono il fascino dell’integralismo. 7. Le donne a cui faccio riferimento sono: mia nonna; la mia professoressa di matematica Fanny Claire Kechich, incarnazione della donna moderna, competente; Lalla Yamina, una donna degli inizi del ’900 che si ribellò alla famiglia e rifiutò di sposarsi, alla quale è stato ricosciuto lo statuto di santa; e la leggendaria Kahina, una regina giudeo-berbera dell’Aurès, una rossa dalla pelle bianca del paese shawia, che nell’VIII secolo resistette all’invasore arabo alla testa del suo esercito. Un mito vivente. Se una ragazza è coraggiosa, le dicono “Sei una Kahina!” 8. Il Codice di famiglia è entrato in vigore il 9 giugno 1984. Nel Codice l’unico ruolo assegnato alla donna è quello di genitrice finalizzata a riprodurre il nome e il benessere del marito. Sul diritto all’istruzione e al lavoro il Codice non si pronunzia, per cui l’uomo può costringere la moglie a non lavorare e la figlia a non andare a scuola (art.39). La donna non può scegliere il proprio marito, a suo nome lo fa il tutore matrimoniale, un uomo (art.11). Dopo sposata, ella vive sotto la doppia spada di Damocle della poligamia maschile - un privilegio vergognoso sancito dall’art. 8 - e di una sorta di divorzio molto simile al ripudio concesso nei fatti solo al marito. Questo codice dell’infamia produce ogni anno un fenomeno tragico: migliaia di madri che si trascinano nelle strade con i loro bambini senza che lo Stato muova un dito. 9. Come hanno lottato gli uomini contro il Codice di famiglia? Non farmi ridere! Tranne rare eccezioni, non ce n’era uno solo in piazza. Gli uomini sono i grandi assenti dalla nostra lotta. Ciò ha rafforzato la mia convinzione che le donne algerine devono cavarsela da sole. 10. Faccio parte del Movimento per la cultura e la democrazia (R.C.D.) creato da Said Sadi nel 1989, i cui punti programmatici sono: a. Separazione del civile dal religioso; b. Laicismo; c. Diritti uguali per uomini e donne di tutte le etnie e religioni; d. Stato di diritto; e. Abrogazione del Codice di famiglia; f. Riconoscimento della dimensione berbera dell’Algeria; g. Giustizia sociale; h. Riforma dell’educazione. 11. Gli integralisti, come ogni movimento totalitario, vogliono avere una presa di possesso sulla società, e hanno perfettamente capito che ciò passa in primo luogo attraverso il controllo della sessualità femminile, che agevola il patriarcato mediterraneo. Inoltre, come tutti i purificatori, odiano e perseguitano la diversità, compagna inseparabile della democrazia. E le donne rappresentano di volta in volta il turbamento, il desiderio, il mistero, la seduzione e anche la diversità, che è immediatamente visibile sul loro corpo. Ecco perché gli islamisti tengono tanto a nascondere la donna, a velarla, a far scomparire la differenza nei suoi segni esterni. 12. Il 29 giugno 1992 il presidente algerino Mohammed Boudiaf viene ucciso. Gli assassini di Boudiaf, un democratico pacifista che sperava che l’Algeria giungesse a definirsi non pro o contro l’Arabia o l’Occidente, ma accanto ad essi, sono tuttora al potere. Finchè i responsabili della morte di Boudiaf dirigeranno il paese, la resistenza rimane l’unica via d’uscita. 13. Mi colpisce sempre la difficoltà che provano i nostri uomini nel dire “Ti amo”, semplicemente. Anche i più libertari manifestano una reale sofferenza a parlare di tenerezza e di amore. 14.
Il vicolo cieco in cui ci troviamo oggi è dovuto al fatto che gli
algerini, incastrati tra due ultimatum, si rifiutano di decidere.
All’estero si fatica a capire. Non si tratta né di silenzio né di
paralisi, bensì della prova di una grande lucidità e saggezza che
fino a oggi ha permesso di evitare la somalizzazione, la libanizzazione
e la jugoslavizzazione del dramma algerino. 15. L’integralismo, come il razzismo, non è un’opinione, è un delitto. (Maria
Antonietta Pappalardo)
Fonti
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