PAOLA,
MIA SORELLA
Ero
arrampicata sulla scala, in procinto di mettere ordine
nell’armadio, quando squillò il telefono.
Decisi di non rispondere. La segreteria era inserita
e aspettai di ascoltare chi fosse l’intruso
che mi disturbava in un momento così impegnativo.
Era mia sorella Paola, mi diceva che si trovava a
poche centinaia di metri da casa mia.
Toccai terra più velocemente possibile, appena
in tempo, per dirle con voce concitata:
-Sono qua, ti aspetto-
Le visite di Paola non erano frequenti, causa i suoi
molteplici impegni. Ma per questo ancora più
gradite. Mi affrettai a mettere la caffettiera sul
fuoco e prima che questa sbuffasse squillò
il citofono… era arrivata.
Paola, appena entrata, andò di corsa al bagno:
il dietologo, da anni, le ha consigliato di bere almeno
tre litri di acqua al giorno (per mantenere
il corpo idratato e giovane) e questo le comporta
"necessità" da soddisfare in tempi
brevissimi.
La bottiglia dell’acqua minerale è, ormai,
la sua inseparabile compagna.
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Mentre
Paola sorseggiava il caffè (rigorosamente senza
zucchero) le dissi che la sua venuta era veramente
provvidenzile:
-Stavo iniziando a sistemare l’armadio. Più
volte mi hai detto che ordinare gli armadi è
il tuo hobby preferito. Al riguardo, so che tua figlia
ti chiama “la perfettina”. Perché
non mi dai una mano a ordinare il mio? E’ un
lavoro che non amo fare-
Paola non se lo fece dire due volte. Salì sulla
scala e, nel vedere le mie stampelle disuguali tra
loro e non appese nel verso giusto, esclamò
scandalizzata:
-Come si fa a tenere un armadio
in queste condizioni?… Lo trovo scandaloso...-
Ma la sua indignazione le si soffocò in gola
nel vedere appeso, a una stampella di velluto azzurro,
un completo di pizzo macramè color tabacco.
L’abito aveva un corpetto di chiffon impreziosito
da perline sapientemente disposte in delicati ricami,
mentre, la giacca, foderata di seta, era rifinita
con polsini di visone selvaggio.
Paola scese precipitosamente dalla scala e, adagiato
con cura l’abito sul letto, cominciò
a toccarlo e accarezzarlo come fosse una reliquia.
-Non sapevo che questo abito
lo avessi tu!- disse con voce commossa -Pensavo
che nostra madre se ne fosse disfatta da tempo…
quanti anni sono passati?-
-Quando sposasti il marchese Gerini non avevi ancora
dciotto anni, adesso ne hai…-
Paola m’interrupe prontamente:
-Non parliamo del tempo che
passa! Anche se con l’avvento di Domitilla sono
diventata nonna, mi sento di avere ancora diciotto
anni- |
Aveva
ragione, per lei il tempo non era certo passato, la
osservai mentre accarezzava l’abito di
pizzo macramè color tabacco: era ancora molto
bella.
-Me lo regali?-
Le risposi che io ero troppo affezionata a quell’abito
per privarmene.
Poi,
scherzando, le dissi:
-Te lo lascerò in eredità-
Per non permettere alla commozione di coinvolgerci
troppo, le ricordai che la sua ambizione di diventare
marchesa, fece indebitare noi sorelle fino al collo.
Per la cerimonia, ci facemmo confezionare abiti principeschi,
da una delle prime casa di mode.
Il mio lo scelsi di chiffon rosa confetto, completamente
ricamato con fili d'argento e gocce di perle,
che ondeggiavano ad ogni mio passo. Quello di Marisa
era verde smeraldo con frange di perline in tinta
che, ad ogni movimento del suo corpo, emettevano meravigliosi
riflessi di luce. |
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Rossana lo scelse color blu cobalto, sapientemente
ricamato con perline madreperlate "chiaro di
luna".
Cominciammo a ridere quando ricordammo il momento
in cui "il Marchese" costrinse nostra madre
a salire su una Jaguar decappottabile, con un cucciolo
di leone sulle ginocchia.
E ridemmo ancora ricordando il rito bizantino, svoltosi
in una chiesa di Grotta Ferrata, dove l’ostia
consacrata era sostituita da un biscotto savoiardo.
Dopo un anno da quel matrimonio regale, mentre noi
ancora pagavamo il debito con la casa di mode, Paola
chiese ed ottenne l’annullamento dalla Sacra
Rota.
E, mentre Paola arricchiva la nostra allegra conversazione
con aneddoti esilaranti a me ignoti, come il suo viaggio
di nozze, io salii nuovamente sulla scala per ridiscenderne
insieme a una piccola cappelliera di cuoio verde scuro.
L’aprii. Al suo interno, custodito come un gioiello
prezioso, c’era un cappellino di raffinatissima
paglia color tabacco, guarnito da preziose piume di
"asprì" dalle delicate sfumature
beige, completato da una impalpabile veletta in tinta
col cappellino.
Paola spalancò gli occhi, mi strappò
il cappellino dalle mani, corse davanti allo specchio,
lo indossò, abbassò la veletta e cominciò
ad ammirarsi, facendo mille facce, come se stesse
interpretando un dei suoi tanti personaggi fatali
e ammantati di mistero.
Poi,
sollevandosi la veletta, esclamò:
-Questo me lo porto via!-
Ci
rimase male quando le dissi che anche il cappellino
lo avrebbe avuto insieme all’abito, solo "dopo"
la mia dipartita. |
Ci
sedemmo sul letto, che fu di mia madre.
Dopo la sua morte, quando mi riappropriai della casa
della nostra infanzia, mi riappropriai anche di quel
letto.
Paola si tolse le scarpe e vi si sdraiò:
-Questo materasso ortopedico hai
fatto bene a conservarlo, mamma lo aveva acquistato
da pochissimo… anche i cuscini sono di nostra
madre?-
Al mio cenno di assenso, Paola vi affondò la
sua testina bionda, mesciata ad arte, dal taglio perfetto.
-Mi fai un massaggino ai piedi?-
Quello di farsi massaggiare i piedi era un’abitudine
che si portava dietro fin dai primi anni di vita.
Mentre le massagiavo i piedi, freschi di pedicure e
sapientemente laccati, Paola sentenziò,
con voce apparentemente irritata per nascondere la commozione
che la stava pervadendo: |
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-Mamma
sapeva massaggiarmeli meglio di te!-
Si alzò e, a piedi nudi, andò al bagno
per l’ennesima volta.
Quando si sdraiò nuovamente, avvertii che aveva
voglia di piangere.
L’abito e il cappellino erano lì, sul
letto, accanto a noi.
Fu Paola a rompere quel silenzio:
-Pensi che nostra madre sia
qui con noi?-
Conoscevo le sue paure. Da quando nostra madre era
morta, Paola, lavoro permettendo, andava tutte le
domeniche e le feste comandate, nella chiesa della
sua parrocchia a leggere il Vangelo. La tomba di famiglia
era costantemente tirata a lucido e traboccante di
roselline gialle, quelle che piacevano a nostra madre.
Tra una tournée e l’altra, non saltava
una visita.
Io non amavo andare al cimitero, per me mia madre
era presente in quella casa, non potevo accettare
che fosse in qualche altro posto e tutte le volte
che andavo al Verano, invece di sentirmi serena, ne
uscivo col cuore traboccante di disperazione.
Invece, Paola mi confidò che davanti a quella
tomba trovava una grande serenità e una risposta
ai suoi problemi. Era convinta che nostra madre le
chiariva, ogni volta, dubbi e perplessità.
Poi, come una bambina che ha paura di sentire una
risposta diversa da quella che vorrebbe, disse con
voce sommessa:
-Lo so che tu non credi che
in Paradiso ci siano balconi gremiti di persona care
che ci aspettano!… Rivedremo nostra madre?- |
Per
consolarla le dissi che spesso, nel dormiveglia, mi
arriva il profumo di lei e che una volta sentii fra
i capelli la sua mano che m'accarezzava.
Finalmente, gli occhi di mia sorella si riempirono
di un bel sorriso:
-Sai le risate che si starà
facendo adesso mamma, ripensando alla Jaguar e al
cucciolo di leone?-
Il suo telefonino squillò. La udii dire: "Arrivo
subito"
E dopo un furtivo sguardo al suo bel rolex:
-Adesso devo proprio andare…
non vuoi proprio darmelo l’abito di pizzo macramé?-
Scese dal letto, calzò le sue eleganti scarpette
e con la fedele bottiglia di acqua minerale sparì
con la stessa rapidità con cui era arrivata.
Nuovamente
sola, riappesi l’abito di pizzo macramè
alla sua bella stampella di velluto azzurro. Riposi
il cappellino nella bella custodia di pelle verde-bottiglia
e, mentre riportavo la scala al suo posto, pensai
che l’armadio poteva aspettare.
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Mi
sdraiai sul letto, chiusi gli occhi, volevo sentire
il profumo di mia madre e la sua mano protettiva
fra i capelli.
"Forse Paola ha ragione!"
E vidi nostra madre che ci sorrideva affacciata
al balcone del Paradiso.
Grazie Paola!
Gabriella
Paola
Quattrini: www.paolaquattrini.it
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