Legislatura
14º - Disegno di legge N. 2778
SENATO DELLA REPUBBLICA
———– XIV LEGISLATURA ———–
N. 2778
DISEGNO
DI LEGGE
d’iniziativa
della senatrice DATO, LEVI MONTALCINI, AMATO, TREU, BAIO DOSSI,
BARATELLA, BASSO, BATTISTI, BISCARDINI, CASTAGNETTI, CASTELLANI,
COVIELLO, D’AMBROSIO, DE PAOLI, DE PETRIS, DETTORI,
DI GIROLAMO, FALOMI, FILIPPELLI, FORLANI, GIARETTA, LABELLARTE,
LIGUORI, LONGHI, MANZELLA, MARINI, MICHELINI, MODICA, MONCADA
LO GIUDICE di MONFORTE, PEDRINI, PIATTI, SALVI, SCALERA, SOLIANI,
STANISCI, THALER AUSSERHOFER, VERALDI, VICINI, ZANDA e BASILE
COMUNICATO
ALLA PRESIDENZA IL 23 FEBBRAIO 2004
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Interventi urgenti per il raggiungimento entro il 2010 degli
obiettivi della Conferenza di Lisbona in materia di partecipazione
al lavoro delle donne, nonché nuove norme per l’attuazione
dell’articolo 51 della Costituzione
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Onorevoli
Senatori. – Il 23 e 24 marzo del 2000, nell’ambito
del Consiglio europeo di Lisbona, si è tenuta una sessione
straordinaria orientata a concordare un nuovo obiettivo strategico
per l’Unione: diventare in un decennio «l’economia
basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del
mondo», in grado di realizzare una crescita economica
sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore
coesione sociale.
La cosiddetta «Conferenza di Lisbona» ha dunque
posto le basi per la realizzazione di un passaggio cruciale
nella crescita e maturazione delle istituzioni comunitarie:
l’individuazione di obiettivi sociali e di crescita condivisi,
sui quali edificare un rinnovato e ampliato concetto di cittadinanza
europea.
Tra le modalità d’azione concordate in quella sede
era indicata anche la modernizzazione del modello sociale europeo,
da realizzarsi – nell’ambito di un nuovo metodo
di coordinamento aperto a tutti i livelli – attraverso
l’investimento nelle persone e la lotta all’esclusione
sociale.
In questo contesto, una parte integrante del programma strategico
di Lisbona era dedicata ad un tema che vede il nostro paese
in una posizione di eccezionale ritardo rispetto ai partner
comunitari: la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
A questo proposito, il punto 30 del documento conclusivo approvato
a Lisbona recita testualmente: «Il Consiglio europeo ritiene
che l’obiettivo generale di queste misure debba consistere,
in base alle statistiche disponibili, nell’accrescere
il tasso di occupazione dall’attuale media del 61 per
cento a una percentuale che si avvicini il più possibile
al 70 per cento entro il 2010 e nell’aumentare il numero
delle donne occupate dall’attuale media del 51 per cento
a una media superiore al 60 per cento entro il 2010. Tenendo
presenti le diverse situazioni iniziali, gli Stati membri dovrebbero
prevedere di fissare obiettivi nazionali per un aumento del
tasso di occupazione. Attraverso l’ampliamento della forza
lavoro, sarà così rafforzata la sostenibilità
dei sistemi di protezione sociale».
La Conferenza ha dunque fissato un criterio fondamentale per
l’armonizzazione dei mercati del lavoro europei, che vede
l’Italia in una posizione di forte svantaggio soprattutto
sul fronte della partecipazione femminile, dovendo recuperare
su questo terreno un gap di eccezionale rilevanza.
Il dato più significativo riguarda i tassi di occupazione
femminile in base al livello di istruzione.
Tre aspetti di forte differenziazione rispetto alle medie degli
altri paesi europei emergono dall’analisi di tale dato:
(1) solo il 27 per cento delle donne italiane, in età
compresa tra i 25 e i 64 anni e in possesso di licenzia media
inferiore è attualmente occupato; (2) il tasso di occupazione
femminile aumenta all’aumentare del livello di istruzione,
ma tra i primi due livelli di istruzione l’Italia è
il paese che mostra il divario occupazionale più ampio,
con un gap di trenta punti percentuali; (3) il tasso di occupazione
delle donne laureate è abbastanza omogeneo a quello degli
altri paesi comunitari, attestandosi sopra il 70 per cento,
ma i tassi di occupazione femminile per tutti i livelli di istruzione
risultano invece largamente inferiori all’attuale media
comunitaria e – a maggior ragione – molto distanti
dall’obiettivo strategico di Lisbona. Quest’ultimo
risultato evidenzia, in particolare, la modesta percentuale
di lavoratrici tra le donne in possesso di un titolo di istruzione
inferiore, segnalando anche l’esigenza di specifiche e
socialmente mirate politiche culturali.
Con l’allargamento a 25 Paesi dell’Unione europea,
la distanza delle lavoratrici italiane dall’Europa è
destinata ad allargarsi ancora.
A confermarlo è il rapporto annuale ISTAT per l’anno
2003. A fronte di un tasso di occupazione femminile che nei
nuovi paesi membri raggiunge il 50,1 per cento, l’Italia
si segnala per una partecipazione femminile al lavoro che si
ferma ad appena il 32,8 per cento su scala nazionale. Nelle
regioni meridionali e nelle aree svantaggiate dell’Italia
questa percentuale si abbassa ancora, fino a livelli del tutto
inammissibili per una società ad economia avanzata: meno
di tre donne su dieci (il 26,1 per cento) è risultata
occupata nel 2002. Ciò nondimeno, il tasso di scolarità
femminile è in linea con la media europea.
Le donne italiane, dunque, studiano come e più degli
uomini, eppure non riescono a partecipare alla vita economica
e produttiva del paese in misura corrispondente alle loro capacità
e potenzialità.
La spiegazione di questa «anomalia italiana» si
rintraccia negli stessi dati ISTAT, che evidenziano come la
situazione familiare condizioni il tasso di partecipazione femminile
al lavoro in misura assolutamente determinante: nella fascia
di età tra i 35 e i 44 anni le donne con figli che lavorano
sono poco più del 50 per cento, contro l’87 per
cento delle donne senza figli.
Questo dato non sorprende se si considera che la principale
istituzione di sostegno familiare è rappresentata dai
nonni: sei bambini su dieci con meno di due anni – secondo
l’ISTAT – sono affidati ai nonni quando la madre
lavora e soltanto due su dieci frequentano un asilo nido pubblico
o privato.
Il lavoro femminile rappresenta dunque un enorme giacimento
di risorse economiche, culturali e civili che l’Italia
non riesce ad utilizzare, ponendosi al crocevia delle sfide
poste per un verso dall’integrazione europea e per altro
verso dalle esigenze di equità e compatibilità
del nostro sistema di protezione sociale.
Non si può non rilevare, infatti, come la questione dell’occupazione
femminile si ponga oggi per il nostro paese con un accento del
tutto particolare, in quanto direttamente connessa al problema
della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale.
Nel momento in cui il Governo si appresta a dare attuazione
ad una supposta riforma del sistema previdenziale, che per molti
aspetti cristallizza le attuali iniquità senza peraltro
apparire efficace al contenimento finanziario, manca del tutto
una seria riflessione sull’unico che strumento che potrebbe
garantire un riequilibrio della spesa pensionistica senza compressioni
per i diritti acquisiti dei lavoratori, ma semmai con l’espansione
e la piena affermazione del diritto soggettivo al lavoro: l’incremento
della partecipazione lavorativa delle donne, almeno fino ai
livelli medi dell’Unione europea.
In questo senso, l’obiettivo fissato dalla Conferenza
di Lisbona può e deve costituire uno stimolo e uno sprone
per il nostro paese, suggerendo al legislatore un «pacchetto»
di interventi urgenti per un rapido ed efficace recupero del
deficit di partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Questo intervento urgente, d’altronde, non può
prescindere da un altro aspetto cruciale per la vita civile
e democratica di una società matura: la partecipazione
delle donne agli organismi di rappresentanza democratica e alle
cariche elettive. Anche in questo caso – e con proporzioni
persino più allarmanti che per la partecipazione delle
donne al lavoro – si deve rilevare un primato negativo
dell’Italia, che impone l’urgente adozione di efficaci
e moderne misure di sostegno, anche nella forma di un rinnovato
modello di azioni positive.
Il presente disegno di legge intende incidere su ciascuno di
questi fronti di «deficit partecipativo» delle donne,
secondo le finalità di cui all’articolo 1, attraverso
un’azione a più livelli che si articola nelle seguenti
tipologie di intervento:
a) il sostegno alla partecipazione al lavoro delle donne (Capo
I);
b) la promozione dell’imprenditoria e dell’imprenditorialità
femminili (Capo II);
c) il sostegno al reddito delle madri lavoratrici, nonché
interventi in materia di politiche per la famiglia (Capo III);
d) l’attuazione dell’articolo 51 della Costituzione,
in materia di pari opportunità nell’accesso agli
uffici pubblici e alle cariche elettive (Capo IV).
Il Capo I, dedicato alle norme a sostegno della partecipazione
al lavoro delle donne, reca in apertura una misura destinata
ad incidere sul primo ordine di difficoltà incontrato
dalle donne nell’accesso al mercato del lavoro: l’elemento
anagrafico. A parità di formazione e qualificazione,
le giovani donne scontano una vistosa penalizzazione nell’accesso
al lavoro a tempo indeterminato, cui corrisponde una prevalente
utilizzazione delle stesse nell’ambito di forme parasubordinate
di prestazione.
A tal fine, l’articolo 2 introduce, per il periodo 2005-2010,
uno specifico incentivo fiscale all’assunzione di lavoratrici
giovani, nella forma di un credito d’imposta pari a 500
euro per ciascuna nuova assunzione che incrementi il numero
dei dipendenti a tempo indeterminato.
L’incentivo è riconosciuto ai datori di lavoro
(con l’esclusione delle pubbliche amministrazioni) che
assumono lavoratrici fino a 32 anni di età, che non abbiano
svolto attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato
da almeno 24 mesi e che siano residenti in una area geografica
in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno
del 10 per cento rispetto a quello maschile, ovvero in cui il
tasso di disoccupazione femminile superi del 5 per cento quello
maschile.
L’agevolazione è modellata sull’incentivo
per l’occupazione di cui all’articolo 7 della legge
23 dicembre 2000, n. 388, (legge finanziaria per il 2001) che
nel corso dell’attuale legislatura è stato prima
«congelato» e quindi ridimensionato, fino a svuotarne
progressivamente l’effettività sia con una riduzione
degli importi ammessi al credito d’imposta, sia attraverso
l’eliminazione del carattere di automaticità dell’incentivo.
Un’agevolazione fiscale riconosciuta direttamente al nucleo
familiare di appartenenza della lavoratrice è invece
prevista dall’articolo 3 del presente disegno di legge,
a titolo di incentivo alla ripresa dell’attività
lavorativa dopo la maternità.
Con riferimento ai figli nati dopo il 31 dicembre 2004 da madri
residenti che, inoccupate o disoccupate alla data del parto,
intraprendano una nuova attività lavorativa, anche in
forma autonoma, entro tre anni dalla stessa data, si prevede
un significativo incremento della detrazione per carichi familiari
già prevista dal testo unico delle imposte sui redditi
(articolo 13, comma 1, lettera b), del citato testo unico di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,
n. 917) per i nuclei familiari in particolari condizioni economiche.
Fermi restando i requisiti di reddito già previsti per
l’accesso alla detrazione per carichi familiari, la norma
ne indica l’importo in 2.500 euro, per i cinque anni successivi
all’avvio o la ripresa dell’attività lavorativa.
In caso d’incapienza, la quota di detrazione non goduta
è riconosciuta sotto forma di assegno alla lavoratrice.
Inoltre, nel quadro della generale revisione degli istituti
di sostegno al reddito delle famiglie prevista dalla disciplina
di delega di cui all’articolo 11 del presente disegno
di legge, si prevede la possibilità che lo stesso importo
riconosciuto come detrazione d’imposta possa essere in
alternativa accreditato, sotto forma di contribuzione diretta,
sul «Conto individuale del neonato» intestato al
figlio per il quale si è avuto accesso all’incentivo.
Al fine di incentivare l’assunzione di persone che avviano
o riprendono l’attività lavorativa dopo periodi
dedicati alla cura della famiglia, l’articolo 4 prevede,
per i datori di lavoro che assumano tali soggetti con contratti
a tempo indeterminato, l’integrale fiscalizzazione degli
oneri contributivi per un periodo di tre anni dalla data dell’assunzione.
Una novella della disciplina vigente del lavoro part-time, finalizzata
a promuovere il ricorso su base volontaria a tale modalità
di prestazione, è invece prevista all’articolo
5. Le modifiche proposte al decreto legislativo 25 febbraio
2000, n. 61, come modificato dal decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, sono orientate in primo luogo a riequilibrare,
in senso più favorevole al lavoratore, la disciplina
delle clausole elastiche che possono essere previste dai contratti
collettivi in ordine alla collocazione temporale della prestazione.
In secondo luogo, e per la medesima finalità, si è
modificata la disciplina per la denuncia del patto, da parte
del lavoratore, per esigenze di salute personale o di carattere
familiare, connesse alla cura di figli minori o di familiari
disabili.
In chiave esclusivamente promozionale è la misura di
cui all’articolo 6, che novella la legge 8 marzo 2000,
n. 53, in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro,
prevedendo nuove forme di incentivo alla flessibilità
oraria e al part-time. In particolare, si prevede che una quota
non inferiore a 40 milioni di euro del Fondo per l’occupazione
sia annualmente destinata all’erogazione di contributi
in favore di aziende che applicano accordi contrattuali che
prevedono:
a) la trasformazione, reversibile e su base volontaria, del
rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale,
su richiesta delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri,
anche adottivi o affidatari, con figli fino ad otto anni di
età ovvero fino a dodici anni in caso di affidamento
o di adozione;
b) l’adozione di azioni positive per la flessibilità
dell’orario di lavoro, orientate a consentire alla lavoratrice
madre e al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore
autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione
un minore, di usufruire di forme di flessibilità degli
orari e dell’organizzazione del lavoro, anche attraverso
il ricorso su base volontaria al telelavoro e al lavoro a domicilio;
c) la realizzazione di programmi di formazione per il reinserimento
delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti dopo i periodi
di congedo parentale; nonchè di progetti che consentano
la sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori autonomi
che beneficino del periodo di astensione obbligatoria o dei
congedi parentali, con altra lavoratrice o lavoratore autonomo.
L’altro fronte di riforma sul quale intende incidere la
presente proposta di legge è costituito dal potenziamento
dell’istituto del congedo parentale. A tal fine, l’articolo
7 novella il testo unico delle disposizioni legislative in materia
di tutela e sostegno della maternità e della paternità
di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, introducendo
una nuova disciplina del trattamento economico e normativo dei
congedi parentali.
In particolare, si prevede che per i periodi di congedo parentale,
alle lavoratrici e ai lavoratori che vi accedono avendo un reddito
familiare inferiore a 20mila euro annui, secondo l’indice
ISE, l’indennità dovuta sia elevata fino al 70
per cento della retribuzione, rispetto all’attuale 30
per cento oggi corrisposto indifferentemente per tutti i livelli
di retribuzione.
Inoltre, si porta a nove mesi il periodo massimo complessivo
di congedo che i due genitori possono richiedere per lo stesso
figlio.
Un’innovazione assoluta rispetto all’ordinamento,
e di grande rilevanza civile, è costituita dalla disciplina
di cui all’articolo 8, orientata a riconoscere alla lavoratrici
parasubordinate – trasformate in lavoratrici a progetto
dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30, – un pieno diritto
alla tutela della maternità, della malattia e dell’infortunio,
oggi gravemente conculcato. A questo scopo, si propone la sostituzione
dell’articolo 66 del decreto legislativo n. 276 del 2003
con una nuova disciplina per la tutela della gravidanza, della
malattia e dell’infortunio nei lavori a progetto.
In particolare, si prevede che la gravidanza, la malattia e
l’infortunio della collaboratrice e del collaboratore
a progetto non possano in nessun caso comportare l’anticipata
conclusione del rapporto contrattuale: in caso di malattia e
infortunio comportanti un’astensione dall’attività
lavorativa superiore a dieci giorni, la durata del contratto
è prorogata per un periodo corrispondente, sebbene non
oltre un sesto della durata del contratto, quando essa sia determinata,
ovvero non oltre trenta giorni per i contratti di durata determinabile
(salva più favorevole disposizione del contratto individuale);
in caso di gravidanza, invece, la durata del contratto, quando
essa sia determinata, è prorogata per un periodo di nove
mesi.
Infine, alle collaboratrici a progetto è estesa –
sotto tutti gli altri profili, economici e normativi –
la disciplina in materia di congedo per maternità oggi
applicabile alla lavoratrici subordinate.
Agli interventi per la promozione dell’imprenditoria e
dell’autoimprenditorialità femminile è dedicato
il Capo II del presente disegno di legge.
In particolare, l’articolo 9 reca, per un verso, il rifinanziamento
delle misure vigenti a sostegno dell’imprenditoria e dell’autoimprenditorialità
femminili e, per altro verso, incide sulla disciplina del finanziamento
delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale,
di cui all’articolo 3 della legge 10 aprile 1991, n. 125.
Inoltre, lo stesso articolo prevede che, nell’esercizio
della potestà legislativa concorrente ai sensi dell’articolo
117, terzo comma, della Costituzione, in materia di sostegno
all’innovazione per i settori produttivi, le regioni attuino,
per le finalità coerenti con la legge 25 febbraio 1992,
n. 215, in accordo con le associazioni di categoria, programmi
per la formazione continua e per la promozione dell’autoimpiego
femminile, e concorrano alla realizzazione di piani e progetti
aziendali, territoriali, settoriali o individuali finalizzati
alla formazione delle lavoratrici autonome.
Al fine di coordinare e razionalizzare l’implementazione
di tali misure di sostegno, l’articolo 10 prevede l’istituzione,
presso il Ministero per le pari opportunità, di un nuovo
«Comitato per la formazione continua delle lavoratrici
autonome e la promozione dell’imprenditoria femminile»,
in sostituzione del «Comitato per l’imprenditoria
femminile», di cui all’articolo 10 della legge 25
febbraio 1992, n. 215, e della «Commissione per la promozione
e lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile»,
di cui al decreto del Ministro per le pari opportunità
del 19 febbraio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
52 del 4 marzo 1997.
Tale Comitato è composto dal Ministro per le pari opportunità,
con funzioni di presidente, dal Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, dal Ministro delle attività produttive,
dal Ministro per le politiche agricole e forestali, dal Ministro
dell’economia e delle finanze, o da loro delegati; da
due rappresentanti della Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
Bolzano, da una rappresentante del Comitato di parità
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da una rappresentante
degli istituti di credito, da una rappresentante per ciascuna
delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello
nazionale della cooperazione, della piccola industria, del commercio,
dell’artigianato, dell’agricoltura, del turismo
e dei servizi.
Secondo la disciplina proposta, il Comitato è tenuto
a svolgere le funzioni di indirizzo e di programmazione generale
in ordine alle politiche per lo sviluppo e il sostegno dell’imprenditoria
femminile, per la formazione continua delle lavoratrici autonome
e per la promozione della cultura d’impresa tra le donne.
Il Comitato ha altresì il compito di vigilare sulla corretta
attuazione delle normative nazionali e comunitarie nelle stesse
materie, al fine di adottare le conseguenti iniziative normative
e amministrative.
Per tali finalità esso può avvalersi dei risultati
e delle elaborazioni di un apposito «Osservatorio per
la formazione continua e la valorizzazione della cultura d’impresa
delle lavoratrici autonome», istituito presso il Ministero
delle pari opportunità. All’Osservatorio sono attribuite
le seguenti funzioni:
a) l’elaborazione di proposte di indirizzo e di linee-guida
per l’implementazione di programmi di formazione professionale
continua a favore delle donne che svolgono o intendano svolgere
attività di lavoro autonomo;
b) la promozione di attività di studio e di ricerca e
di campagne informative sull’imprenditorialità
femminile;
c) il monitoraggio degli interventi legislativi e dei programmi
governativi, locali e comunitari, rilevanti ai fini della promozione
delle pari opportunità in materia di imprenditoria, anche
ai fini della misurazione degli effetti complessivi, dal punto
di vista occupazionale, economico e della diffusione della cultura
d’impresa;
d) l’adozione di programmi specifici aventi il fine di
facilitare la diffusione sul territorio della conoscenza delle
risorse disponibili e delle modalità di accesso agli
strumenti nazionali ed ai fondi comunitari, anche mediante l’organizzazione
sul territorio di strutture specifiche per la informazione e
per la promozione e lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali
femminili.
Le proposte d’indirizzo dell’Osservatorio sono inoltre
trasmesse alle regioni ed alle province autonome territorialmente
interessate affinchè ne possano tenere conto nell’esercizio
della potestà legislativa concorrente ed esclusiva ai
sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione,
in materia rispettivamente di sostegno all’innovazione
per i settori produttivi e di formazione professionale.
Agli interventi in materia di politiche per la famiglia, sempre
in chiave di incentivazione e sostegno alla partecipazione al
lavoro delle donne, è dedicato il Capo III del presente
disegno di legge.
L’articolo 11 reca un’articolata disciplina di delega
al Governo ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata
in vigore della presente legge, disposizioni intese a potenziare
e razionalizzare gli istituti di sostegno al reddito delle famiglie
con figli, anche attraverso l’istituzione di strumenti
di risparmio agevolato intesi a promuovere l’autonomia
dei giovani.
A tal fine sono dettati i seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) al fine di limitare l’insorgenza di situazioni di incapienza
nell’accesso alle agevolazioni fiscali per i carichi familiari,
prevedere una ridefinizione della disciplina delle detrazioni
dall’imposta sui redditi, orientata a ridurre progressivamente
il ricorso a tale istituto e a potenziare corrispondentemente
il ricorso alle forme di sostegno di diretto;
b) sulla base di una complessiva ricognizione di tutti gli istituti
e le forme di sostegno diretto e indiretto al reddito, a vario
titolo riconosciuti ai nuclei familiari, con particolare riguardo
alla composizione ed estensione della platea dei beneficiari,
alle condizioni di accesso a ciascun istituto e ai rispettivi
costi, prevedere la progressiva sostituzione degli stessi con
forme di sostegno diretto al reddito delle famiglie attivabili
sulla base di nuovi ed omogenei criteri di assegnazione, che
tengano conto della condizione reddituale, dell’ampiezza
e della composizione del nucleo familiare;
c) per la medesima finalità, disporre una complessiva
revisione la disciplina dell’indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE), orientata a massimizzare l’efficienza,
l’equità e la trasparenza nella valutazione delle
condizioni sociali e reddituali rilevanti ai fini del riconoscimento
dell’assegno per la famiglia, rendendo a tal fine pienamente
accessibile ed agevole anche l’autovalutazione di tali
condizioni da parte dei soggetti interessati;
d) nell’ambito della revisione della disciplina dell’indicatore
della situazione economica equivalente (ISEE), prevedere meccanismi
di adeguamento automatico delle tabelle di equivalenza, orientati
a recuperare la perdita del potere di acquisto delle famiglie;
e) prevedere delle adeguate forme di collegamento tra l’accesso
all’assegno per la famiglia, da parte di nuclei familiari
con figli minori, e la garanzia di ottemperanza alle disposizioni
vigenti in materia di obbligo scolastico e lavoro minorile;
f) prevedere che a ciascun nuovo nato sia riconosciuta la titolarità
di un «Conto personale del neonato», istituito presso
l’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) e finalizzato
al sostegno economico per la cura, l’assistenza e la formazione
del nuovo nato, nonchè alla promozione della sua autonomia;
g) prevedere che il «Conto personale del neonato»
possa essere alimentato, fino al compimento del venticinquesimo
anno di età del titolare, attraverso le seguenti fonti
di finanziamento segnalate con distinta evidenza contabile in
sede di emissione dell’estratto conto:
1) l’accreditamento degli assegni familiari e degli altri
contributi pubblici riconosciuti alla famiglia a titolo di sostegno
al reddito, in relazione alle esigenze di cura, assistenza e
formazione del minore titolare del Conto;
2) l’accreditamento di borse o assegni di studio riconosciuti
al titolare del Conto da istituzioni pubbliche e private, nonchè
dei contributi pubblici a vario titolo erogati per la tutela
del diritto allo studio;
3) i versamenti, occasionali o periodici, da parte di familiari,
tutori o affidatari, nonchè di altri soggetti privati
a tal fine espressamente autorizzati dagli esercenti la potestà
sul minore;
4) la contribuzione statale o regionale integrativa, in relazione
a particolari condizioni sociali ed economiche del titolare
del Conto, ovvero per specifiche finalità di impiego
del contributo;
5) l’accreditamento degli importi erogati dallo Stato
a titolo di prestito a condizioni agevolate, rimborsabile con
rateazione a lungo termine, per specifiche finalità di
istruzione o formazione professionale del titolare del Conto;
h) prevedere che agli importi versati sul Conto si applichi
un tasso annuo di rivalutazione, come annualmente individuato
con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
di concerto con il Ministro dell’economia, almeno pari
al rendimento annuo dei titoli di credito a medio-lungo termine
emessi dal Tesoro;
i) prevedere che possano avere accesso al Conto:
1) fino al raggiungimento della maggiore età del titolare,
i genitori, tutori o affidatari del minore; in tal caso i prelievi
eccedenti la quota di risorse derivante da contribuzione pubblica
sono condizionati a documentate esigenze di concorso alle spese
di sostentamento, cura, assistenza, istruzione e formazione
del titolare del Conto;
2) il titolare del Conto, a decorrere dal raggiungimento della
maggiore età e fino al venticinquesimo anno di età,
per documentate esigenze di istruzione o formazione professionale,
ovvero per l’avvio di attività professionali e
imprenditoriali.
Nuove e specifiche disposizioni in materia di asili-nido sono
contenute all’articolo 12 della presente proposta di legge.
In cartolare si prevede che, a decorrere dall’anno 2005,
le spese di partecipazione, sostenute dai genitori, alla gestione
dei micro-nidi e degli asili nido territoriali, siano deducibili
dal reddito complessivo ai fini dell’imposta sui redditi
delle persone fisiche, per un importo non superiore ai 2.000
euro per ogni figlio che fruisce di tali strutture.
Inoltre, al fine di promuovere e sostenere la realizzazione
su tutto il territorio nazionale di almeno 3.000 nuovi asili
nido entro l’anno 2007, è istituito presso il Ministero
del lavoro e delle politiche sociali un apposito «Fondo
nazionale per gli asili nido», di seguito denominato «fondo»,
finalizzato al cofinanziamento degli investimenti promossi dalle
amministrazioni locali per la costruzione ovvero la riqualificazione
di strutture destinate ad asili nido.
Infine, il Capo IV del presente disegno di legge è dedicato
alle misure per l’attuazione dell’articolo 51 della
Costituzione, in materia di pari opportunità nell’accesso
agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Tale disciplina
nasce dall’esigenza di un rinnovamento delle istituzioni
che si realizzi non solo nel rispetto dei principi democratici,
ma anche con l’obiettivo di uno Stato più aperto,
più vicino ai cittadini, capace di corrispondere meglio
ai bisogni di una società in trasformazione, più
esigente e ricca di elementi di partecipazione democratica.
A cinquant’anni dal riconoscimento alle donne italiane
del diritto di voto, attivo e passivo, si verifica un crescente
paradosso: si moltiplicano la qualità e la quantità
delle donne in tutti i campi sociali, culturali e professionali,
seppure con le difficoltà legate soprattutto ad una persistente
delega nei loro confronti del lavoro di cura e dei compiti familiari,
nonchè ad una permanente resistenza nel riconoscere loro
pari condizioni di accesso ai ruoli dirigenziali; ma questo
impetuoso avanzamento, qualcuno l’ha definita la rivoluzione
più lunga del secolo, non trova che un marginale riconoscimento
– soprattutto nel nostro Paese, ma anche in altri Stati
europei – nell’accesso delle donne alle assemblee
elettive e ai centri decisionali, luoghi deputati ad esprimere
la garanzia effettiva del diritto di cittadinanza sociale e
politica.
Le cifre purtroppo parlano chiaro: riferendoci solo al Parlamento,
nelle elezioni politiche del 13 maggio 2001 sono state elette
64 donne alla Camera (43 con il sistema uninominale e 21 con
il recupero proporzionale) e 24 al Senato: 88 donne su 945 parlamentari
per una percentuale del 9,2 per cento. Eppure il principio di
uguaglianza dei cittadini e della loro pari dignità sociale
è già costituzionalizzato nell’articolo
3, secondo comma, della Costituzione non soltanto come precetto
formale ma come concreta previsione per la Repubblica del dovere
di rimuovere gli «ostacoli di ordine economico e sociale
che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana
e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del paese».
In questo articolo si è radicata e alimentata tutta quella
produzione legislativa tesa a configurare condizioni di reali
pari opportunità, identificando le situazioni di concreto
svantaggio e disuguaglianza di partenza e di status tra i cittadini
e in particolare tra uomini e donne.
Si pensi alla filosofia che, a partire dagli anni Ottanta –
in Italia e in Europa – ha ispirato la legislazione sulle
«azioni positive» in campo sociale ed economico,
rivolte non solo a rimuovere situazioni di ostacolo o di discriminazione
diretta o indiretta, ma a promuovere misure specifiche, anche
circoscritte nel tempo e nello spazio, mirate al superamento
di condizioni di concreta difficoltà.
Il Consiglio d’Europa ha adottato fin dal 1991 una raccomandazione
perchè l’eguaglianza di trattamento fra uomini
e donne in tutti i campi sia iscritto come diritto fondamentale
della persona umana a livello nazionale e internazionale e ha
moltiplicato le iniziative volte a rafforzare il concetto di
democrazia paritaria, che è ormai entrata a pieno titolo
anche nei documenti internazionali. La Carta di Roma, sottoscritta
da quindici ministri europei il 18 maggio 1996, ha ribadito
gli stessi princìpi, proiettandoli sul futuro trattato
europeo (infatti nella nuova Costituzione europea si fa riferimento
appunto al recepimento di questo principio). In particolare
ha affermato «la necessità di azioni concrete a
tutti i livelli per promuovere la partecipazione ugualitaria
di donne e uomini ai processi decisionali in tutte le sfere
della società».
In tal senso il Governo Prodi, emanò una direttiva che
dava attuazione al IV Programma d’azione europeo adottato
nel 1996 (direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri
del 27 marzo 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 116
del 21 maggio 1997), che aveva come obiettivo la partecipazione
equilibrata di uomini e donne nei luoghi decisionali in applicazione
anche del Piano di azione sottoscritto da 189 Stati alla IV
Conferenza mondiale dell’ONU di Pechino sulle donne del
4-15 settembre 1995.
Si tratta di pochi ma significativi riferimenti al quadro internazionale
(oltrechè nazionale), dai quali si evince che il principio
universale di uguaglianza e di non discriminazione è
«norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta»,
cui l’Italia deve conformarsi ai sensi dell’articolo
10 della Costituzione (risultandone così integrato e
rafforzato l’articolo 3 della Costituzione), e deve essere
quindi preoccupazione costante di chi è chiamato ad un’ampia
riforma istituzionale e degli strumenti di garanzia costituzionale.
La sfida, per uomini e per donne, è quella di inserirsi
nei processi politici e decisionali soprattutto in una fase
di transizione e di cambiamento come l’attuale: e la via
maestra consiste nell’inserimento nel cosiddetto mainstream,
cioè nei processi politici in cui coesistono volontà
e responsabilità personale. Sappiamo, però, che
il ricorso a strumenti e misure specifici, che in qualche modo
debbano surrogare una carenza di consapevolezza politica, è
pur sempre una soluzione scarsamente appagante anche per le
donne. Ma di fronte all’attuale rischio di «rimozione»
del problema della sottorappresentanza delle donne nelle istituzioni,
pur a fronte della sua persistenza, è necessario ed urgente
un correttivo.
L’approvazione della legge costituzionale 30 maggio 2003,
n. 1, di modifica dell’articolo 51 della Costituzione,
ha mutato il quadro costituzionale di riferimento, favorendo
l’introduzione nell’ordinamento di correttivi che
facilitino una presenza equilibrata di donne ed uomini.
A tal fine, il presente disegno di legge interviene in ordine
alle elezioni del Parlamento Europeo, della Camera dei deputati,
del Senato della Repubblica, dei Consigli regionali, comunali
e provinciali (articoli da 14 a 21).
Per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica, anzitutto si pone il problema di assicurare una
presenza alternata delle donne e degli uomini rispettivamente
nelle liste proporzionali e nell’ambito dei gruppi di
candidati presentati su tutto il territorio con un medesimo
contrassegno. Il testo prevede che nell’ambito delle liste
recanti il medesimo contrassegno, ovvero tra i cittai gruppi
di candidati, ogni sesso non sia rappresentato in misura superiore
ai due terzi (articolo 15).
Analoga disposizione è prevista per le elezioni dei Consigli
comunali e provinciali (articoli 16 e 17).
In fine, per garantire l’effettività delle suddette
disposizioni, è previsto che le liste o le candidature
non conformi alla legge, in materia di rappresentanza obbligatoria
dei sessi nelle liste elettorali, siano comunque inammissibili.
La mancata ottemperanza all’obbligo di alternanza tra
candidati di sesso diverso, a partire dalla candidatura capolista,
è invece sanzionata con la preclusione all’accesso
ai rimborsi elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157
(articolo 18).
Misure premiali per i partiti o movimenti politici che sostengono
le candidature femminili nelle elezioni politiche, regionali
ed europee, sono invece previste dall’articolo 19.
Tale disposizione novella la legge 3 giugno 1999, n. 157, prevedendo
una nuova disciplina per l’erogazione di risorse finanziarie
per accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica.
Al fine di incentivare e sostenere la partecipazione delle donne
agli organi di rappresentanza, una quota pari al 20 per cento
dei fondi complessivamente destinati alle spese elettorali per
il rinnovo di ciascuno degli organi elettivi europei, nazionali
e regionali, è riservata ai partiti o movimenti politici
che, nelle relative consultazioni elettorali, abbiano almeno
il 30 per cento di donne tra i rispettivi candidati eletti.
In caso di mancata attribuzione della quota di cui al comma
1, le relative risorse finanziarie sono destinate alle finalità
di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, recante azioni positive
per la realizzazione della parità uomo-donna.
Inoltre, ogni partito o movimento politico è tenuto non
solo a destinare una quota pari almeno al 10 per cento dei rimborsi
ricevuti per ciascuno dei fondi ricevuti ad iniziative volte
ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica,
ma anche a dare conto in forma dettagliata, nell’ambito
dei propri bilanci, della tipologia, dell’estensione e
del costo di ciascuna iniziativa realizzata per le finalità
di promozione della partecipazione politica delle donne.
Una disciplina premiale specifica è dettata – all’articolo
20 – per i partiti o movimenti politici che sostengono
le candidature femminili nelle elezioni provinciali e comunali.
In particolare, al fine di incentivare e sostenere la partecipazione
delle donne agli organi di rappresentanza, una quota pari al
15 per cento del fondo previsto dalla legge 10 aprile 1991,
n. 125, è riservata ai partiti e movimenti politici,
liste o gruppi di candidati che nelle consultazioni elettorali
provinciali e comunali abbiano riportato almeno il 30 per cento
di donne tra i rispettivi candidati eletti, a titolo di contributo
totale o parziale delle spese sostenute per la campagna elettorale.
Infine, l’articolo 21 reca nuove norme a tutela della
rappresentanza equilibrata di donne e uomini nelle giunte e
negli organi collegiali degli enti locali.
Esso prevede che, in attuazione dell’articolo 51 della
Costituzione, gli statuti comunali e provinciali stabiliscano
norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra
uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e
per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte
e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonchè
degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Per tali finalità, gli statuti comunali e provinciali
sono tenuti a prevedere modalità di nomina dei componenti
della Giunta idonee a garantire l’equilibrata rappresentanza
di entrambi i sessi. A tal fine, gli statuti devono prevedere
che al sesso meno rappresentato nel Consiglio comunale o provinciale
sia riservata una quota percentuale.
DISEGNO DI LEGGE
Capo I
NORME A SOSTEGNO DELLA PARTECIPAZIONE AL LAVORO DELLE DONNE
Art. 1.
(Finalità)
1. Nel perseguimento della finalità generale di sostegno
e incentivo al rafforzamento della partecipazione delle donne
alla vita economica, sociale, politica e istituzionale del paese,
la presente legge è orientata alla realizzazione dei
seguenti obiettivi:
a) il raggiungimento, entro il 2010, del tasso di occupazione
femminile individuato nell’ambito del documento conclusivo
approvato dal Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000;
b) l’instaurazione di condizioni più favorevoli
alla piena attuazione dell’articolo 51 della Costituzione,
come modificato dalla legge costituzionale 30 maggio 2003, n.
1, con riguardo alle pari opportunità nell’accesso
agli uffici pubblici e alle cariche elettive.
Art. 2.
(Incentivi all’occupazione
delle giovani donne)
1. Ai datori di lavoro che, nel periodo compreso tra il 1º
gennaio 2005 e il 31 dicembre 2010, incrementano il numero dei
lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato
attraverso l’assunzione, nelle condizioni di cui al comma
5, di giovani lavoratrici, è concesso il credito di imposta
di cui al comma 2. Sono esclusi all’ambito di applicazione
del presente articolo i soggetti di cui all’articolo 74
del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
2. Il credito d’imposta è commisurato, nella misura
di 500 euro per ciascuna lavoratrice assunta e per ciascun mese,
alla differenza tra il numero dei lavoratori con contratto di
lavoro a tempo indeterminato rilevato in ciascun mese rispetto
al numero dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato
mediamente occupati nel periodo compreso tra il 1º gennaio
e il 31 dicembre dell’anno 2004. Il credito di imposta
decade se, su base annuale, il numero complessivo dei lavoratori
dipendenti, a tempo indeterminato e a tempo determinato, compresi
i lavoratori con contratti di lavoro con contenuto formativo,
risulta inferiore o pari al numero complessivo dei lavoratori
dipendenti mediamente occupati nel periodo compreso tra il 1º
gennaio e il 31 dicembre dell’anno 2004. Per le assunzioni
di dipendenti con contratti di lavoro a tempo parziale, il credito
d’imposta spetta in misura proporzionale alle ore prestate
rispetto a quelle del contratto nazionale. Il credito d’imposta
è concesso anche ai datori di lavoro operanti nel settore
agricolo che incrementano il numero dei lavoratori operai, ciascuno
occupato per almeno 230 giornate all’anno.
3. L’incremento della base occupazionale va considerato
al netto delle diminuzioni occupazionali verificatesi in società
controllate o collegate ai sensi dell’articolo 2359 del
codice civile o facenti capo, anche per interposta persona,
allo stesso soggetto. Per i soggetti che assumono la qualifica
di datore di lavoro a decorrere dal 1º gennaio 2005, ogni
lavoratore dipendente assunto costituisce incremento della base
occupazionale. I lavoratori dipendenti con contratto di lavoro
a tempo parziale si assumono nella base occupazionale in misura
proporzionale alle ore prestate rispetto a quelle del contratto
nazionale.
4. Il credito d’imposta, che non concorre alla formazione
del reddito e del valore della produzione rilevante ai fini
dell’imposta regionale sulle attività produttive
(IRAP) nè ai fini del rapporto di cui all’articolo
96 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è
utilizzabile, a decorrere dal 1º gennaio 2001, esclusivamente
in compensazione ai sensi del decreto legislativo 9 luglio 1997,
n. 241.
5. Il credito d’imposta di cui al comma 1 spetta a condizione
che:
a) le lavoratrici assunte siano di età non superiore
a 32 anni;
b) le lavoratrici assunte siano residenti in una area geografica
in cui il tasso di occupazione femminile, come determinato con
apposito decreto del Ministro dei lavoro e delle politiche sociali,
di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sia inferiore almeno del 10 per cento rispetto
a quello maschile, ovvero in cui il tasso di disoccupazione
femminile superi del 5 per cento quello maschile;
c) le lavoratrici assunte non abbiano svolto attività
di lavoro dipendente a tempo indeterminato da almeno ventiquattro
mesi;
d) siano osservati i contratti collettivi nazionali anche con
riferimento ai soggetti che non hanno dato diritto al credito
d’imposta;
e) siano rispettate le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza
dei lavoratori previste dalv decreto legislativo 19 settembre
1994, n. 626, e dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494,
nonché dai successivi decreti legislativi attuativi di
direttive comunitarie in materia di sicurezza ed igiene del
lavoro.
6. Nel caso di impresa subentrante ad altra nella gestione di
un servizio pubblico, anche gestito da privati, comunque assegnata,
il credito d’imposta spetta limitatamente al numero di
lavoratori assunti in più rispetto a quello dell’impresa
sostituita.
7. Qualora vengano definitivamente accertate violazioni non
formali, e per le quali sono state irrogate sanzioni di importo
superiore a 2.500 euro, alla normativa fiscale e contributiva
in materia di lavoro dipendente, ovvero violazioni alla normativa
sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, prevista dal
decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e dal decreto
legislativo 14 agosto 1996, n. 494, nonché dai successivi
decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie in materia
di sicurezza ed igiene del lavoro, commesse nel periodo in cui
si applicano le disposizioni del presente articolo e qualora
siano emanati provvedimenti definitivi della magistratura contro
il datore di lavoro per condotta antisindacale ai sensi dell’articolo
28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni,
le agevolazioni sono revocate. Dalla data del definitivo accertamento
delle violazioni, decorrono i termini per far luogo al recupero
delle minori imposte versate o del maggiore credito riportato
e per l’applicazione delle relative sanzioni.
8. Le agevolazioni previste dal presente articolo sono cumulabili
con altri benefici eventualmente concessi.
9. Entro il 31 dicembre 2006 il Governo provvede ad effettuare
la verifica ed il monitoraggio degli effetti delle disposizioni
di cui al presente articolo, identificando la nuova occupazione
generata per area territoriale, sesso, età e professionalità.
10. Ai fini delle agevolazioni previste dal presente articolo,
i soci lavoratori di società cooperative sono equiparati
ai lavoratori dipendenti.
Art. 3.
(Incentivi alla ripresa dell’attività lavorativa
dopo la maternità)
1. Con riferimento ai figli nati successivamente al 31 dicembre
2004 da madri residenti che, inoccupate o disoccupate alla data
del parto, intraprendano una nuova attività lavorativa,
anche in forma autonoma, entro tre anni dalla stessa data, la
detrazione per carichi di famiglia, di cui all’articolo
13, comma 1, lettera b), del testo unico delle imposte sui redditi,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917, è stabilita in 2.500 euro, per un periodo
massimo di cinque anni a decorrere dall’anno di imposta
in cui avviene la ripresa o l’avvio dell’attività
lavorativa, in costanza delle condizioni di reddito previste
dalla medesima disposizione.
2. In caso d’incapienza, totale o parziale, dell’imposta
dovuta ai sensi del presente articolo, la quota di detrazione
non goduta è riconosciuta sotto forma di assegno alla
madre lavoratrice.
3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo
attuativo delle disposizioni di delega di cui all’articolo
11, comma 1, lettere da f) ad i), in alternativa all’accesso
alla detrazione d’imposta di cui al comma 1, gli importi
corrispondenti alla medesima detrazione, ovvero le quote di
detrazione per carichi familiari non godute per incapienza,
possono essere direttamente accreditati sul «Conto personale
del neonato», di cui all’articolo 11, comma 2, lettera
f), intestato al figlio per il quale ricorrano le condizioni
di cui al comma 1.
4. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
sentito il Ministro per le pari opportunità, da emanare
entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge
23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono stabilite
le modalità di accesso ai benefici di cui al presente
articolo.
Art. 4.
(Incentivi ai datori di lavoro per l’assunzione di persone
che avviano o riprendono l’attività lavorativa
dopo periodi dedicati alla cura della famiglia)
1. Al fine di incentivare l’assunzione di persone di età
superiore a quaranta anni, che avviano o riprendono l’attività
lavorativa dopo periodi dedicati alla cura della famiglia, gli
oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro che assume con
contratto a tempo indeterminato un soggetto in possesso dei
requisiti di cui al comma 2 sono integralmente fiscalizzati
per un periodo di tre anni dalla data dell’assunzione.
2. È ammesso all’incentivo di cui al comma 1 ciascun
datore di lavoro che assume con contratto a tempo indeterminato
una persona di età non inferiore a quaranta anni, in
condizione di inoccupazione o disoccupazione da almeno due anni,
che nello stesso periodo sia stata impegnata in lavoro di cura
in favore di:
a) figli di età inferiore ai dodici anni, anche adottivi
o in affidamento;
b) familiari disabili gravi, ai sensi della legge 5 febbraio
1992, n. 104, e successive modificazioni;
c) familiari non autosufficienti.
3. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze,
emanato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, d’intesa con i Ministri del lavoro e delle
politiche sociali e per le pari opportunità, sono individuate
le modalità di accesso al beneficio di cui al presente
articolo.
Art. 5.
(Nuove norme in materia di lavoro
a tempo parziale)
1. Al fine di promuovere il ricorso al lavoro a tempo parziale
su base volontaria, in funzione di sostegno alla compatibilità
dei tempi di vita e di lavoro, all’articolo 3 del decreto
legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, e successive modificazioni,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. Ferma restando l’indicazione nel contratto di
lavoro della distribuzione dell’orario con riferimento
al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno, i contratti
collettivi, di cui all’articolo 1, comma 3, e successive
modificazioni, applicati dal datore di lavoro interessato, possono
prevedere clausole elastiche in ordine alla sola collocazione
temporale della prestazione lavorativa, determinando le condizioni
e le modalità a fronte delle quali il datore di lavoro
può variare detta collocazione, rispetto a quella inizialmente
concordata col lavoratore ai sensi dell’articolo 2, comma
2»;
b) al comma 8, le parole: «, fatte salve le intese tra
le parti, di almeno due giorni lavorativi» sono sostituite
dalle seguenti: «di almeno dieci giorni lavorativi»;
c) al comma 9, dopo il primo periodo è inserito il seguente:
«Nel patto è fatta espressa menzione della data
di stipulazione e della possibilità di denuncia del patto
ai sensi del comma 10-bis»;
d) dopo il comma 10 sono inseriti i seguenti:
«10-bis. Durante lo svolgimento del rapporto di lavoro
a tempo parziale il lavoratore può denunciare il patto
di cui al comma 9, accompagnando alla denuncia l’indicazione
di una delle seguenti documentate ragioni:
a) esigenze di carattere familiare connesse alla cura di figli
di età inferiore ai dodici anni, anche adottivi o in
affidamento;
b) esigenze di tutela della salute certificate dal competente
Servizio sanitario pubblico;
c) esigenze di assistenza a familiari disabili gravi, ai sensi
della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni,
ovvero di familiari non autosufficienti;
d) per gravi motivi, ai sensi dell’articolo 4 della legge
8 marzo 2000, n. 53.
10-ter. La denuncia in forma scritta, potrà essere effettuata
quando siano decorsi almeno cinque mesi dalla data di stipulazione
del patto e dovrà essere altresì accompagnata
da un preavviso di un mese in favore del datore di lavoro. Il
datore di lavoro ha facoltà di rinunciare al preavviso.
10-quater. Il rifiuto da parte del lavoratore di stipulare il
patto di cui al comma 9 e l’esercizio da parte dello stesso
del diritto di ripensamento non possono integrare in nessun
caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
10-quinquies. A seguito della denuncia di cui al comma 10-bis
viene meno la facoltà del datore di lavoro di variare
la collocazione temporale della prestazione lavorativa inizialmente
concordata ai sensi dell’articolo 2, comma 2. Successivamente
alla denuncia, nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro
è fatta salva la possibilità di stipulare un nuovo
patto scritto in materia di collocazione temporale elastica
della prestazione lavorativa a tempo parziale, osservandosi
le disposizioni del presente articolo.»
Art. 6.
(Misure di incentivazione e sostegno della flessibilità
oraria e del part-time)
1. L’articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, è
sostituito dal seguente:
«Art. 9. - (Incentivi alla flessibilità oraria
e al part-time). – 1. Al fine di promuovere e incentivare
il ricorso a forme di articolazione della prestazione lavorativa
compatibili con le esigenze di conciliazione dei tempi di vita
e di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici, a decorrere
dall’anno 2005, una quota annua non inferiore a 40 milioni
di euro del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo
1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito,
con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, è
destinata all’erogazione di contributi in favore di aziende
che applichino accordi contrattuali che prevedono:
a) la trasformazione, reversibile e su base volontaria, del
rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale,
su richiesta delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri,
anche adottivi o affidatari, con figli fino ad otto anni di
età ovvero fino a dodici anni in caso di affidamento
o di adozione;
b) l’adozione di azioni positive per la flessibilità
dell’orario di lavoro, orientate a consentire alla lavoratrice
madre e al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore
autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione
un minore, di usufruire di forme di flessibilità degli
orari e dell’organizzazione del lavoro, anche attraverso
il ricorso su base volontaria al telelavoro e al lavoro a domicilio;
c) la realizzazione di programmi di formazione per il reinserimento
delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti dopo i periodi
di congedo parentale; nonchè di progetti che consentano
la sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori autonomi
che beneficino del periodo di astensione obbligatoria o dei
congedi parentali, con altra lavoratrice o lavoratore autonomo».
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
di concerto con il Ministro per le pari opportunità,
da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore
della presente legge, sono definite le modalità di accesso
ai contributi, nonchè la modulazione degli stessi, sulla
base dei seguenti criteri:
a) destinazione del 50 per cento delle risorse alle imprese
che occupano fino a cinquanta dipendenti;
b) riconoscimento di importi maggiori alle aziende che adottano
le misure di cui al comma 1, lettere a) e b);
c) attribuzione dei contributi con priorità per le imprese
ubicate nelle aree a più basso tasso di occupazione femminile.
Art. 7.
(Nuove norme in materia di trattamento economico e normativo
dei periodi di
congedo parentale)
1. L’articolo 34 del testo unico delle disposizioni legislative
in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001,
n. 151, è sostituito dal seguente:
«Art. 34. - (Trattamento economico e normativo dei congedi
parentali). – 1. Per i periodi di congedo parentale di
cui all’articolo 32, alle lavoratrici e ai lavoratori
è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino un’indennità
pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo
complessivo tra i genitori di nove mesi. L’indennità
è calcolata secondo quanto previsto all’articolo
23, ad esclusione del comma 2 dello stesso.
2. Nel caso in cui le risorse economiche del nucleo familiare
di appartenenza del bambino risultino pari o inferiori ai valori
dell’indicatore della situazione economica equivalente
(ISEE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109,
tabella 1, e successive modificazioni, pari ad euro 20.000 annui
con riferimento a nuclei monoreddito con tre componenti, l’indennità
di cui al comma 1 è pari al 70 per cento della retribuzione.
Per nuclei familiari con diversa composizione, il requisito
economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza
di cui alla tabella 2 del medesimo decreto legislativo n. 109
del 1998, e successive modificazioni, tenendo conto delle maggiorazioni
ivi previste.
3. L’indennità di cui ai commi 1 e 2 è corrisposta
per tutto il periodo di prolungamento del congedo per la cura
di minori con handicap in situazione di gravità, ai sensi
dell’articolo 33.
4. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo
32 ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 3 è
dovuta un’indennità pari al 50 per cento della
retribuzione, a condizione che ricorrano le condizioni di reddito
di cui al comma 2.
5. L’indennità per congedo parentale è corrisposta
con le modalità di cui di cui all’articolo 1 del
decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni,
dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e successive modificazioni,
e con gli stessi criteri previsti per l’erogazione delle
prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro le
malattie.
6. I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità
di servizio a tutti gli effetti.
7. Nel caso in cui ricorrano le condizioni di reddito di cui
al comma 2, i periodi di congedo parentale sono considerati,
ai fini della progressione nella carriera, come attività
lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale
scopo particolari requisiti.
8. Ai congedi parentali si applica quanto previsto all’articolo
22, commi 4, 6 e 7».
Art. 8.
(Nuove norme in materia di diritti dei collaboratori a progetto
con particolare riguardo alla tutela della gravidanza)
1. L’articolo 66 del decreto legislativo 10 settembre
2003, n. 276, è sostituito dal seguente:
«Art. 66. - (Tutela della gravidanza, della malattia e
dell’infortunio nei lavori a progetto). – 1. La
gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore
a progetto non possono in nessun caso comportare l’anticipata
conclusione del rapporto contrattuale.
2. In caso di malattia e infortunio comportanti un’astensione
dall’attività lavorativa superiore a dieci giorni,
la durata del contratto è prorogata per un periodo corrispondente
e comunque non oltre un sesto della durata del contratto, quando
essa sia determinata, ovvero non oltre trenta giorni per i contratti
di durata determinabile, salva più favorevole disposizione
del contratto individuale.
3. In caso di gravidanza, la durata del contratto, quando essa
sia determinata, è prorogata per un periodo di nove mesi,
salva più favorevole disposizione del contratto individuale.
4. Alle collaboratrici a progetto si applica la disciplina in
materia di congedo per maternità di cui agli articoli
16, 18, 19, 20 e 21 del testo unico di cui al decreto legislativo
26 marzo 2001, n. 151 e successive modificazioni.
5. Per tutto il periodo del congedo di maternità le collaboratrici
a progetto hanno diritto ad un’indennità di maternità
pari all’80 per cento della retribuzione per tutto il
periodo del congedo di maternità.
6. Oltre alle disposizioni previste dalla legge 11 agosto 1973,
n. 533, e successive modificazioni, sul processo del lavoro,
nonché dall’articolo 64 del testo unico di cui
al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni,
ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del presente
capo si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro
di cui al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive
modificazioni, quando la prestazione lavorativa si svolga nei
luoghi di lavoro del committente, nonché le norme di
tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali,
le norme di cui all’articolo 59, comma 16, della legge
27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e del
decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale
12 gennaio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del
26 marzo 2001».
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze,
da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sono individuate le aliquote di contribuzione
per il finanziamento dei trattamenti economici di maternità
corrisposti alle collaboratrici a progetto.
Capo II
INTERVENTI PER LA PROMOZIONE DELL’IMPRENDITORIA E DELL’IMPRENDITORIALITÀ
FEMMINILE
Art. 9.
(Rifinanziamento delle misure a sostegno dell’imprenditoria
e dell’autoimprenditorialità femminile)
1. Al fine di incrementare e promuovere le azioni positive per
la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro,
l’articolo 3 della legge 10 aprile 1991, n. 125, è
sostituito dal seguente:
«Art. 3. - (Finanziamento delle azioni positive realizzate
mediante la formazione professionale). – 1. Al finanziamento
dei progetti di formazione finalizzati al perseguimento dell’obiettivo
di cui all’articolo 1, comma 1, approvati dal Fondo sociale
europeo, è destinata una quota del Fondo di rotazione
istituito dall’articolo 25 della legge 21 dicembre 1978,
n. 845, non inferiore al 25 per cento, determinata annualmente
con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione
economica (CIPE), su proposta del Ministro per le pari opportunità.
2. La finalizzazione dei progetti di formazione al perseguimento
dell’obiettivo di cui all’articolo 1, comma 1, viene
accertata, entro il 31 marzo dell’anno in cui l’iniziativa
deve essere attuata, dalla commissione regionale per l’impiego.
Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato
di cui all’articolo 5.
3. La quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 è
ripartita tra le regioni con il seguente criterio:
a) per il 75 per cento tra tutte le regioni in misura proporzionale
all’ammontare dei contributi richiesti per i progetti
approvati;
b) per il 25 per cento tra le regioni in cui il tasso di occupazione
femminile, come rilevato dall’ISTAT, è inferiore
alla media nazionale, in proporzione alla popolazione residente».
2. A decorrere dall’anno 2004, il Fondo per lo sviluppo
dell’imprenditoria femminile, di cui all’articolo
3 della legge 25 febbraio 1992, n. 215, è finanziato
nella misura di 30 milioni di euro in ragione d’anno.
3. Nell’esercizio della potestà legislativa concorrente
ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione,
in materia di sostegno all’innovazione per i settori produttivi,
le regioni, anche a statuto speciale, nonché le province
autonome di Trento e di Bolzano, attuano per le finalità
coerenti con la legge 25 febbraio 1992, n. 215, in accordo con
le associazioni di categoria, programmi per la formazione continua
e per la promozione dell’autoimpiego, di piani e progetti
aziendali, territoriali, settoriali o individuali finalizzati
alla formazione delle lavoratrici autonome.
Art. 10.
(Comitato per la formazione continua delle lavoratrici autonome
e la promozione dell’imprenditoria femminile)
1. Presso il Ministero per le pari opportunità è
istituito il Comitato per la formazione continua delle lavoratrici
autonome e la promozione dell’imprenditoria femminile,
di seguito denominato «Comitato», composto dal Ministro
per le pari opportunità, con funzioni di presidente,
dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro
delle attività produttive, dal Ministro per le politiche
agricole e forestali, dal Ministro dell’economia e delle
finanze, o da loro delegati; da due rappresentanti della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, da una rappresentante del Comitato
di parità del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, da una rappresentante degli istituti di credito, da
una rappresentante per ciascuna delle organizzazioni maggiormente
rappresentative a livello nazionale della cooperazione, della
piccola industria, del commercio, dell’artigianato, dell’agricoltura,
del turismo e dei servizi.
2. I membri del Comitato sono nominati con decreto del Ministro
per le pari opportunità, su designazione delle organizzazioni
di appartenenza, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge, e restano in carica tre anni. Per ogni
membro effettivo viene nominato un supplente.
3. Il Comitato elegge nel proprio ambito uno o due vicepresidenti;
per l’adempimento delle proprie funzioni esso si avvale
del personale e delle strutture messe a disposizione dai Ministri
di cui al comma 1.
4. Il Comitato svolge le funzioni di indirizzo e di programmazione
generale in ordine alle politiche per lo sviluppo e il sostegno
dell’imprenditoria femminile, per la formazione continua
delle lavoratrici autonome e per la promozione della cultura
d’impresa tra le donne. Il Comitato ha altresì
il compito di vigilare sulla corretta attuazione delle normative
nazionali e comunitarie nelle stesse materie, al fine di adottare
le conseguenti iniziative normative e amministrative.
5. Per le finalità di cui al comma 4, il Comitato si
avvale dei risultati e delle elaborazioni dell’Osservatorio
di cui al comma 6.
6. Presso il Ministero delle pari opportunità è
istituito l’«Osservatorio per la formazione continua
e la valorizzazione della cultura d’impresa delle lavoratrici
autonome», di seguito denominato «Osservatorio»,
con le seguenti funzioni:
a) l’elaborazione di proposte di indirizzo e di linee-guida
per l’implementazione di programmi di formazione professionale
continua a favore delle donne che svolgono o intendano svolgere
attività di lavoro autonomo;
b) la promozione di attività di studio e di ricerca e
di campagne informative sull’imprenditorialità
femminile;
c) il monitoraggio degli interventi legislativi e dei programmi
governativi, locali e comunitari, rilevanti ai fini della promozione
delle pari opportunità in materia di imprenditoria, anche
ai fini della misurazione degli effetti complessivi, dal punto
di vista occupazionale, economico e della diffusione della cultura
d’impresa;
d) l’adozione di programmi specifici aventi il fine di
facilitare la diffusione sul territorio della conoscenza delle
risorse disponibili e delle modalità di accesso agli
strumenti nazionali ed ai fondi comunitari, anche mediante l’organizzazione
sul territorio di strutture specifiche per la informazione e
per la promozione e lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali
femminili.
7. Le proposte d’indirizzo dell’Osservatorio sono
trasmesse alle regioni ed alle province autonome territorialmente
interessate affinché ne possano tenere conto nell’esercizio
della potestà legislativa concorrente ed esclusiva ai
sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione,
in materia rispettivamente di sostegno all’innovazione
per i settori produttivi e di formazione professionale.
8. Per le finalità di cui al presente articolo il Comitato
stabilisce gli opportuni collegamenti con il Servizio centrale
per la piccola industria e l’artigianato di cui all’articolo
39, comma 1, lettera a), della legge 5 ottobre 1991, n. 317,
e si avvale di consulenti, individuati tra persone aventi specifiche
competenze professionali ed esperienze in materia di imprenditoria
femminile.
9. Per lo svolgimento delle attività del Comitato è
autorizzata la spesa annua di 400.000 euro, a decorrere dal
2004, a valere sul Fondo nazionale per lo sviluppo dell’imprenditoria
femminile, di cui all’articolo 3 della legge 25 febbraio
1992, n. 215.
10. A decorrere dalla data di insediamento del Comitato, il
Comitato per l’imprenditoria femminile, di cui all’articolo
10 della legge 25 febbraio 1992, n. 215, e la Commissione per
la promozione e lo sviluppo dell’imprenditorialità
femminile, di cui al decreto del Ministro per le pari opportunità
del 19 febbraio 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.
52 del 4 marzo 1997, sono soppressi e le risorse finanziarie
ad essi destinate sono trasferite al Fondo di cui al comma 9,
per il finanziamento delle attività del Comitato.
Capo III
INTERVENTI IN MATERIA DI POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Art. 11.
(Potenziamento e razionalizzazione degli istituti di sostegno
al reddito delle famiglie. Istituzione del «Conto individuale
del neonato»)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto
legislativo contenente disposizioni intese a potenziare e razionalizzare
gli istituti di sostegno al reddito delle famiglie con figli,
anche attraverso l’istituzione di strumenti di risparmio
agevolato intesi a promuovere l’autonomia dei giovani.
2. Il Governo, nell’esercizio della delega di cui al comma
1, si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere, al fine di limitare l’insorgenza di situazioni
di incapienza nell’accesso alle agevolazioni fiscali per
i carichi familiari, una ridefinizione della disciplina delle
detrazioni prevista dall’articolo 13 del testo unico delle
imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni,
orientata a ridurre progressivamente il ricorso a tale istituto
e a potenziare corrispondentemente il ricorso alle forme di
cui alla lettera b);
b) prevedere, sulla base di una complessiva ricognizione di
tutti gli istituti e le forme di sostegno diretto e indiretto
al reddito, a vario titolo riconosciuti ai nuclei familiari,
con particolare riguardo alla composizione ed estensione della
platea dei beneficiari, alle condizioni di accesso a ciascun
istituto e ai rispettivi costi, la progressiva sostituzione
degli stessi con forme di sostegno diretto al reddito delle
famiglie attivabili sulla base di nuovi ed omogenei criteri
di assegnazione, che tengano conto della condizione reddituale,
dell’ampiezza e della composizione del nucleo familiare;
c) disporre, per la finalità di cui alla lettera b),
una complessiva revisione della disciplina dell’indicatore
della situazione economica equivalente (ISEE) di cui al decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni,
orientata a massimizzare l’efficienza, l’equità
e la trasparenza nella valutazione delle condizioni sociali
e reddituali rilevanti ai fini del riconoscimento dell’assegno
per la famiglia, rendendo a tal fine pienamente accessibile
ed agevole anche l’autovalutazione di tali condizioni
da parte dei soggetti interessati;
d) prevedere, nell’ambito della revisione della disciplina
dell’ISEE di cui alla lettera c), meccanismi di adeguamento
automatico delle tabelle di equivalenza, orientati a recuperare
la perdita del potere di acquisto delle famiglie;
e) prevedere adeguate forme di collegamento tra l’accesso
all’assegno per la famiglia, da parte di nuclei familiari
con figli minori, e la garanzia di ottemperanza alle disposizioni
vigenti in materia di obbligo scolastico e lavoro minorile;
f) prevedere che a ciascun nuovo nato sia riconosciuta la titolarità
di un Conto personale del neonato, di seguito denominato «Conto»,
istituito presso l’Istituto nazionale di previdenza sociale
(INPS) e finalizzato al sostegno economico per la cura, l’assistenza
e la formazione del nuovo nato, nonché alla promozione
della sua autonomia;
g) prevedere che il Conto possa essere alimentato, fino al compimento
del venticinquesimo anno di età del titolare, attraverso
le seguenti fonti di finanziamento segnalate con distinta evidenza
contabile in sede di emissione dell’estratto conto:
1) l’accreditamento degli assegni familiari e degli altri
contributi pubblici riconosciuti alla famiglia a titolo di sostegno
al reddito, in relazione alle esigenze di cura, assistenza e
formazione del minore titolare del Conto;
2) l’accreditamento di borse o assegni di studio riconosciuti
al titolare del Conto da istituzioni pubbliche e private, nonché
dei contributi pubblici a vario titolo erogati per la tutela
del diritto allo studio;
3) i versamenti, occasionali o periodici, da parte di familiari,
tutori o affidatari, nonché di altri soggetti privati
a tal fine espressamente autorizzati dagli esercenti la potestà
sul minore;
4) la contribuzione statale o regionale integrativa, in relazione
a particolari condizioni sociali ed economiche del titolare
del Conto, ovvero per specifiche finalità di impiego
del contributo;
5) l’accreditamento degli importi erogati dallo Stato
a titolo di prestito a condizioni agevolate, rimborsabile con
rateazione a lungo termine, per specifiche finalità di
istruzione o formazione professionale del titolare del Conto;
h) prevedere che agli importi versati sul Conto si applichi
un tasso annuo di rivalutazione, come annualmente individuato
con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
di concerto con il Ministro dell’economia, almeno pari
al rendimento annuo dei titoli di credito a medio-lungo termine
emessi dal Tesoro;
i) prevedere che possano avere accesso al Conto:
1) fino al raggiungimento della maggiore età del titolare,
i genitori, tutori o affidatari del minore: in tal caso i prelievi
eccedenti la quota di risorse derivante da contribuzione pubblica
sono condizionati a documentate esigenze di concorso alle spese
di sostentamento, cura, assistenza, istruzione e formazione
del titolare del Conto;
2) il titolare del Conto, a decorrere dal raggiungimento della
maggiore età e fino al venticinquesimo anno di età,
per documentate esigenze di istruzione o formazione professionale,
ovvero per l’avvio di attività professionali e
imprenditoriali.
Art. 12.
(Nuove norme in materia di asili-nido)
1. A decorrere dall’anno 2005, le spese di partecipazione,
sostenute dai genitori, alla gestione dei micro-nidi e degli
asili nido territoriali, sono deducibili dal reddito complessivo
ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche,
per un importo non superiore ai 2.000 euro per ogni figlio che
fruisce delle medesime strutture.
2. Al fine di promuovere e sostenere la realizzazione su tutto
il territorio nazionale di almeno 3.000 nuovi asili nido entro
l’anno 2007, è istituito presso il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali un apposito Fondo nazionale
per gli asili nido, di seguito denominato «Fondo»,
finalizzato al cofinanziamento degli investimenti promossi dalle
amministrazioni locali per la costruzione ovvero la riqualificazione
di strutture destinate ad asili nido.
3. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di Bolzano, di cui all’articolo 12 della legge 23 agosto
1988, n. 400, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, sono disciplinate le
modalità di accesso al fondo.
4. Ai fini del finanziamento del Fondo è autorizzata
la spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2004 e di 100
milioni di euro in ragione d’anno per gli anni 2005, 2006
e 2007.
Art. 13.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni
di cui ai Capi I, II e III della presente legge si provvede,
fino a concorrenza degli importi, mediante le maggiori entrate
derivanti dall’applicazione delle seguenti disposizioni:
a) l’articolo 13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383,
è abrogato;
b) a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente
legge, le aliquote di base di cui all’articolo 5 della
legge 7 marzo 1985, n. 76, per il calcolo dell’imposta
di consumo sui tabacchi lavorati destinati alla vendita al pubblico
nel territorio soggetto a monopolio, sono uniformemente incrementate
del 50 per cento;
c) a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente
legge, sono stabilite nella misura del 19 per cento le aliquote,
che risultino inferiori a tale misura, relative ai redditi di
capitale di cui alle seguenti disposizioni:
1) articoli 26, 26-ter e 27 del decreto del Presidente della
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni;
2) articolo 1 del decreto-legge 2 ottobre 1981, n. 546, convertito,
con modificazioni, dalla legge 1º dicembre 1981, n. 692,
e successive modificazioni;
3) articolo 9 della legge 23 marzo 1983, n. 77, e successive
modificazioni;
4) articoli 5 e 11-bis del decreto-legge 30 settembre 1983,
n. 512, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre
1983, n. 649, e successive modificazioni;
5) articolo 14 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 84,
e successive modificazioni;
6) articolo 2 del decreto legislativo 1º aprile 1996, n.
239, e successive modificazioni;
7) articoli 5 e 7 del decreto legislativo 21 novembre 1997,
n. 461.
Capo IV
NORME PER L’ATTUAZIONE DELL’ARTICOLO 51 DELLA COSTITUZIONE,
IN MATERIA DI PARI OPPORTUNITÀ NELL’ACCESSO AGLI
UFFICI PUBBLICI E ALLE CARICHE ELETTIVE
Art. 14.
(Nuove norme in materia di composizione delle liste per le elezioni
politiche e per il Parlamento europeo)
1. In attuazione dell’articolo 51 della Costituzione,
il presente Capo detta le misure necessarie per promuovere le
pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso
alle cariche elettive.
Art. 15.
(Elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica)
1. Al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione
della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 18, dopo il comma 6, è aggiunto
il seguente:
«6-bis. Nell’insieme dei collegi uninominali per
le candidature contraddistinte da un medesimo contrassegno nessuno
dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore
ai due terzi del totale dei candidati; in caso di quoziente
frazionario si procede all’arrotondamento all’unità
prossima»;
b) all’articolo 18-bis, dopo il comma 2, sono aggiunti
i seguenti:
«2-bis. Nell’insieme delle liste aventi un medesimo
contrassegno, nessuno dei due sessi può essere rappresentato
in misura superiore ai due terzi dei candidati. Ai fini del
computo sono escluse le candidature plurime. In caso di quoziente
frazionario si procede all’arrotondamento all’unità
prossima.
2-ter. Le liste sono formate elencando in ordine alternato candidati
di sesso diverso, a partire dalla candidatura capolista».
2. All’articolo 9 del testo unico delle leggi recanti
norme per l’elezione del Senato della Repubblica, di cui
al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, dopo il comma
1, è inserito il seguente:
«1-bis. In ogni gruppo nessuno dei due sessi può
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale
dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento
all’unità prossima.».
Art. 16.
(Elezione del Consiglio comunale)
1. All’articolo 71 del testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, dopo il comma 3, è inserito il seguente:
«3-bis. In ogni lista, nessuno dei due sessi può
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale
dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento
all’unità prossima. Le liste sono formate elencando
in ordine alternato candidati di sesso diverso, a partire dalla
candidatura capolista.».
2. All’articolo 73 del testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, dopo il comma 1 è inserito il seguente:
«1-bis. In ogni lista, nessuno dei due sessi può
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale
dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento
all’unità prossima. Le liste sono formate elencando
in ordine alternato candidati di sesso diverso, a partire dalla
candidatura capolista».
Art. 17.
(Elezione del Consiglio provinciale)
1. All’articolo 75 del testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, dopo il comma 2, è inserito il seguente:
«2-bis. In ogni gruppo, nessuno dei due sessi può
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi del totale
dei candidati. In caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento
all’unità prossima.».
Art. 18.
(Inammissibilità delle liste e preclusione
all’accesso al rimborso elettorale)
1. Le liste o le candidature non conformi alle prescrizioni
di cui agli articoli 15, 16 e 17 della presente legge in materia
di rappresentanza obbligatoria dei sessi nelle liste elettorali
sono comunque inammissibili.
2. La mancata ottemperanza all’obbligo di alternanza tra
candidati di sesso diverso, a partire dalla candidatura capolista,
è sanzionata con la preclusione all’accesso ai
rimborsi elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157.
Art. 19.
(Misure premiali per i partiti o movimenti politici che sostengono
le candidature femminili nelle elezioni politiche, regionali
ed europee)
1. L’articolo 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157, è
sostituito dal seguente:
«Art. 3. - (Risorse finanziarie per accrescere la partecipazione
attiva delle donne alla politica). – 1. Al fine di incentivare
e sostenere la partecipazione delle donne agli organi di rappresentanza,
una quota pari al 20 per cento dei fondi complessivamente destinati
alle spese elettorali per il rinnovo di ciascuno degli organi
di cui all’articolo 1, comma 1, è riservata ai
partiti o movimenti politici che, nelle relative consultazioni
elettorali, abbiano almeno il 30 per cento di donne tra i rispettivi
candidati eletti.
2. La quota di cui al comma 1 è ripartita secondo i criteri
di cui agli articoli 9 e 16 della legge 10 dicembre 1993, n.
515, e successive modificazioni.
3. In caso di mancata attribuzione della quota di cui al comma
1, le relative risorse finanziarie sono destinate alle finalità
di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, recante azioni positive
per la realizzazione della parità uomo-donna.
4. Ogni partito o movimento politico destina una quota pari
almeno al 10 per cento dei rimborsi ricevuti per ciascuno dei
fondi di cui ai commi 1 e 5 dell’articolo 1 ad iniziative
volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla
politica.
5. I movimenti ed i partiti politici di cui al comma 4, attraverso
un apposito capitolo all’interno del rendiconto di cui
all’articolo 8 della legge 2 gennaio 1997, n. 2, e successive
modificazioni, danno conto in forma dettagliata di della tipologia,
dell’estensione e del costo di ciascuna iniziativa realizzata
per le finalità di cui al comma 4».
Art. 20.
(Misure premiali per i partiti o movimenti politici che sostengono
le candidature femminili nelle elezioni provinciali e comunali)
1. Al fine di incentivare e sostenere la partecipazione delle
donne agli organi di rappresentanza, una quota pari al 15 per
cento del fondo previsto dalla legge 10 aprile 1991, n. 125,
è riservata ai partiti e movimenti politici, liste o
gruppi di candidati che nelle consultazioni elettorali provinciali
e comunali abbiano riportato almeno il 30 per cento di donne
tra i rispettivi candidati eletti, a titolo di contributo totale
o parziale delle spese sostenute per la campagna elettorale.
2. Con decreto del Ministro per le pari opportunità,
adottato entro il 31 marzo, sono annualmente determinati i criteri
di determinazione degli importi e le modalità di accesso
ai contributi di cui al presente articolo, con riferimento alle
consultazioni elettorali svolte nell’anno solare precedente.
Art. 21.
(Nuove norme a tutela della rappresentanza equilibrata di donne
e uomini nelle giunte e negli organi collegiali degli enti locali)
1. All’articolo 6 del testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,
n. 267, il comma 3 è sostituito dai seguenti:
«3. In attuazione dell’articolo 51 della Costituzione,
gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare
condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi
della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per promuovere la presenza
di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del
comune e della provincia, nonchè degli enti, aziende
ed istituzioni da essi dipendenti.
3-bis. Per le finalità di cui al comma 3, gli statuti
comunali e provinciali prevedono modalità di nomina dei
componenti della Giunta idonee a garantire l’equilibrata
rappresentanza di entrambi i sessi. A tal fine, gli statuti
devono prevedere che al sesso meno rappresentato nel Consiglio
comunale o provinciale sia riservata una quota percentuale di
assessori non inferiore alla rappresentanza percentuale dello
stesso sesso nel Consiglio»
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