PALCOSCENICO
DI STELLE
C’era
la luna alta nel cielo quando richiusi la persiana. A quell’ora
Piazza Bernini, ammantata di magia, mi ricordò Piazza
della Scala in Trastevere, dove, per la prima volta salii
su una pedana. Su quel palco improvvisato, con la gente assiepata
tutt’attorno, mi sentivo a mio agio. Iniziai a parlare
nel mio dialetto, rivolgendomi ai presenti che, incuriositi
da quel fuori programma, si aspettavano che io dicessi loro
chissà quali cose! Capii che non potevo deluderli ed
iniziai con loro un vero e proprio dialogo improvvisato, a
soggetto, non avendo né copione né un canavaccio
da seguire; la mia era stata una partecipazione del tutto
accidentale.
Quella fu la prima volta che ebbi piena consapevolezza di
possedere un animo di saltimbanco. Recitare i miei versi,
i miei monologhi in mezzo alla strada per persone di tutti
i ceti, analfabeti o letterati, tutti, indistintamente, liberi
di fischiarti o applaudirti, dove niente si fa per compiacenza,
era il massimo a cui potessi aspirare.
Quando m’accorsi che le mie parole coinvolgevano emotivamente
i presenti, compresi che ero nata per cantare la vita, proprio
come un cantastorie.
Un marciapiede, quattro tavole traballanti, il respiro della
gente, il loro odore, il battito dei loro cuori quando mi
abbracciavano, diventò per me un’afrodisiaca
droga. Non avevo bisogno di un copione, non ne ho avuto mai
bisogno, la vita l’aveva scritto per me.
Come descrivere l’emozione di quando, sull’altare
maggiore della basilica, accarezzata dalle note di un pianoforte
a coda, respirando il buon odore dell’incenso, interpretai,
fra l’emozione dei presenti, la poesia dedicata a Piazza
Bernini!
In quella Chiesa, sull’altare dove resi l’estremo
saluto alle persone che più mi hanno amata, quella
sera, con la forza delle mie parole, le ho obbligate a tornare,
restituendo loro la condizione dei vivi.
E come dimenticare quando la gente del quartiere eresse un
piccolo palco al centro del giardinetto, in un punto da dove
potevo vedere la mia finestra!
Quella sera, dopo il tramonto, salendo sulle traballanti tavole,
ritrovai il mio palcoscenico di stelle e, mentre il fonico
mandava brani musicali di canzoni da me scritte, rividi in
quei lampioni accesi tutte le stelle che un tempo mi regalai.
Nello scendere dalla pedana, vidi Bibì addormentata
su una panchina, nel pugno stringeva il suo cerchietto colorato;
la presi in braccio per portarla a casa e nel sentirla così
indifesa nel suo sonno innocente, per non svegliarla, le sussurrai:
-Grazie Bibì per il meraviglioso mondo che mi hai lasciato-
Quando
sarò chiamata salirò
sul "grande palcoscenico del cielo"
e lì dimostrerò con le mie favole
che ogni amore terreno ho consumato.
In quello spazio destinato agli Angeli,
perché le differenze non esistono,
io mi riapproprierò di quell’Amore,
da sempre mio, filtrato e rifiltrato
attraverso quel filtro giustiziere,
impietoso, crudele
che noi chiamiamo, impropriamente:
VITA.