03 indice
- segue - indietro
VII
E’
un caso difficile, una malformazione complessa, ma qualcosa
faremo, qualcosa faremo.”
Il primario di chirurgia plastica, convocato in ostetricia,
spiegò ai genitori di Bibien il percorso da seguire
per le necessarie correzioni. Per Bruno e Denise fu un’altra
bastonata. Dopo l’impatto con quella realtà tutti
avevano assicurato: “non è niente, non è
niente è una cosa che col tempo si risolve:”,
e via, via scoprivano che il problema era grave. Il medico
illustrò le sue previsioni. Parlò di numerosi
interventi chirurgici, dai primi mesi di vita fino ad oltre
i 18 anni, quando i tratti somatici possono considerarsi definitivi.
Una lunga serie di operazioni, due per le schisi del labbro,
due per il palato aperto, una per il naso, una per la mascella,
una o due per i tessuti molli e poi.. e poi.. si vedrà.
Denise ascoltò con attenzione, ma preferì credere
che il chirurgo volesse enfatizzare le difficoltà,
anche se si trattava di un medico molto stimato per la sua
esperienza professionale.
Mentre Denise si preparava a tornare a casa, suo marito non
si staccava un attimo da lei, cercando di minimizzare il problema,
prospettando soluzioni facili che alla moglie parevano vani
tentativi di rendere le cose migliori.
Il giorno del battesimo c’erano tutti: amici, parenti,
non vi fu alcuna defezione. La mamma di Denise, rossa in viso
per l’emozione, si prodigava a servire gli invitati.,
il padre di Bruno, nonno per la prima volta, stava rimpiattato
in poltrona, con un sorriso incollato storto; l’altro
nonno, conversava accanto a lui.
Geraldine, la sorella di Denise, con un tailleur rosa antico,
una fascia dello stesso colore tra i capelli castani che scendevano
a metà schiena non riusciva ad essere la solita animatrice
del gruppo, tuttavia chiacchierava con nonchalance con l’uno
e con l’altro.
“Lasciamo libera mia sorella, facciamo noi.” disse
Geraldine, porgendo saltuariamente un dolcetto a chi capitava
sotto tiro, scortata da Ginetta che invitava all’allegria
senza trovare proseliti. Quel pomeriggio non c’era alcuno
che riuscisse ad alzare di un tono il proprio morale. De Marchi
il collega di Denise, stava seduto in un angolo appartato
ed osservava di sottecchi i comportamenti di Denise. Nora
ed il marito prolungavano una discussione di poco conto con
la moglie di De Marchi. Questa gesticolava alla maniera degli
attori improvvisati dei teatrini di campagna, come se i gesti
dovessero sostituire le parole. Ognuno dei presenti si sforzava
di riempire il tempo di un pomeriggio progettato per l’esultanza,
ma nel quale non si riusciva a mettere un minimo di buon umore.
A Denise, affiancando a turno gli ospiti, sembrava di raccogliere
da tutti quello sguardo compassionevole che ognuno avrebbe
giurato di non mostrare.
La moglie di De Marchi, al momento di accomiatarsi, borbottò
sottovoce:
“Perché proprio in faccia dove tutti puntano
gli occhi. Se fosse stato almeno in un altro posto….,
ma proprio sul viso….”
Denise la guardò coi lineamenti irrigiditi e composti,
voleva rispondere che non aveva potuto scegliere, ma capì
che il dispiacere poteva giocare brutti scherzi, quindi tacque
ed osservò la donna uscire a testa bassa.
VIII
Dopo
giorni di agitazione, Denise decise di portare il figlio all’aria
aperta. Usciva ogni mattina col bambino infilato nel marsupio
per camminare a zonzo lungo i sentieri che tagliano i prati
della periferia. Voleva riflettere, ridivenire a patti con
la vita. Con il piccolo appiccicato al petto cercava di ritrovare
serenità attraverso quel profondo sentimento che provava.
Ormai era estate e le giornate piovose e fredde della settimana
in ospedale avevano lasciato il posto a luminosi giorni di
discreto calore. Il profumo dell’erba la accompagnava
in quei luoghi verdeggianti rimuovendo ogni tristezza, così
riusciva ad entrare in sintonia con la natura e condividerne
la dolcezza, insieme a quel fardellino che portava sul cuore.
Quanto cielo si poteva osservare fuori dal centro abitato!
Abituata a vederlo a lembi, dominava quegli orizzonti sterminati
raccogliendo energie e assaporando una discreta pace.
“Quanto cielo c’è qui Bibien, quanto cielo!”,
sussurrava affascinata da quell’immensità. Gli
parlava sottovoce in quel peregrinare fra campi di fieno e
arbusti spinosi e il bimbo, con il suono della voce e l’incedere
ondeggiante della madre, si addormentava.
Denise si appassionò a quelle passeggiate all’aria
aperta: rinfrancavano il fisico e rasserenavano la mente,
ma soprattutto creavano simbiosi fra il piccino e lei, lei
e la natura e il cerchio si richiudeva inglobando tutto l’amore
del mondo.
Amava sovente sostare in un angolo di natura sotto un albero
ombroso, in riva al fiume, attratta dall’alito vivificante
dell’aria. Il fragore dell’acqua copriva ogni
altro rumore e favoriva le sue riflessioni. Osservando il
solenne avanzare dei cigni collegava la favola del Brutto
Anatroccolo alla malformazione di Bibien, sicura che anche
per suo figlio le cose sarebbero cambiate. Quanto tempo però
sarebbe passato prima di allora? Quanto avrebbe sofferto il
suo bambino per raggiungere la normalità estetica?
Quante volte l’avrebbero deriso per il suo aspetto?
Quante volte avrebbe dovuto nascondersi per evitare lo scherno?
Come avrebbe reagito di fronte a tutti gli sguardi insultanti?
Come avrebbe potuto proteggerlo da questo? Quanti e quali
guai psicologici sarebbero derivati da queste anomalie e dai
ripetuti interventi chirurgici? Sarebbe poi veramente divenuto
come gli altri nei tratti somatici del viso? Quando la mente
era stanca di questi interrogativi inquietanti e la malinconia
diveniva struggente, la natura circostante le dava una mano
distraendola dalle solite ossessione e infondendole una pregiata
quiete.
Il pomeriggio non usciva di casa, arrivava sempre qualcuno
a farle visita. Sua sorella Geraldine era una costante, ma
anche Ginetta, la collega Nora, i nonni e tanti altri conoscenti.
Era contenta dell’interesse di tante persone; non l’attribuiva
alla curiosità, ma al puro affetto che la legava ad
amici e parenti. In quei momenti difficili, le sue pene venivano
alleggerite dalle manifestazioni di amore di tutti.
IX
La
confusione regnava sovrana nei coniugi Giglioli e impediva
loro di mettere a punto le migliori strategie. Già
dalle prime settimane di vita del loro figlio, iniziarono
a peregrinare per raccogliere informazioni che consentissero
di intraprendere la strada giusta per i primi interventi chirurgici.
Si informarono su chirurghi e centri ospedalieri specializzati
e seppero che sarebbe stato meglio andare in Svizzera o negli
Stati Uniti, ma anche a Milano potevano fare le cose bene.
I due genitori erano persi: il padre disorientato, la madre
afflosciata; facevano fatica ad organizzarsi per le consulenze
in città, come potevano pensare di andare all’estero?
Nel marasma molle dei loro acquitrini mentali, conclusero
che si sarebbero affidati al professor Latini, lo specialista
dell’ospedale cittadino che aveva visitato Bibien dopo
la nascita. Perché non fidarsi di lui? Era il miglior
chirurgo plastico della città. Si stavano complicando
la vita quando la migliore soluzione si presentava a portata
di mano. Si consolarono reciprocamente:
“Cerchiamo l’America, ma l’America è
qui”. Si strinsero in una tenerezza infinita con la
sensazione che una prima concreta soluzione stava arrivando.
Si mossero su questa strada, ma tra un’informazione
e l’altra vennero a sapere che il professor Latini era
un mago dei bisturi per i nasini delle signore che non si
piacevano così come natura le aveva fatte o per ritocchi
estetici importanti, mentre le schisi labiali erano affidate
all’assistente di Latini. Seppero che operava bambini
provenienti da molte altre città e ciò lasciava
supporre la buona mano del chirurgo.
Fissata la visita con l’assistente, si trovarono di
fronte a un giovane uomo, di bell’aspetto; le larghe
spalle sotto il camice candido gli davano un’imponenza
particolare. Lo specialista espose in maniera cattedratica
i futuri trattamenti chirurgici sul bambino. Bruno e Denise
ascoltarono attentamente, facendosi piccoli ed umili.
“Ho particolarmente approfondito queste malformazioni
negli Stati Uniti,” precisò il medico“
e i buoni risultati sono garantiti.”
Osservando il premascellare che usciva in modo sproporzionato,
consigliò di far confezionare una cuffietta con una
fettuccia che, attraversando il viso da un lato all’altro,
passando sotto il naso, comprimesse quella parte e ne frenasse
la fuoriuscita.
Incamerate attentamente tutte le nozioni, i due genitori si
accomiatarono dal medico con deferenza.
Denise, la sera, coricandosi, attendeva il sonno con eretiche
fantasticherie. Pensava a questo deus ex machina che avrebbe
ricostruito i tratti somatici del suo bambino e l’ammirazione
rasentava la soglia dell’amore. Questo incontro con
lo specialista era stato oltremodo rassicurante. Non avevano
certo abbandonato le preoccupazioni, ma qualcosa iniziava
a muoversi. L’indicazione della cuffietta fu provvidenziale
perché oltre all’effetto ortopedico, il nastro
nascondeva l’imperfezione ed evitava di far storcere
il naso ai curiosi.
indice
- segue - indietro
Tutti i diritti sono riservati all'autrice: non è consentita
copia e uso dei testi sotto qualsiasi forma senza autorizzazione.