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XXV
Tornata
a casa, Denise non si diede pace e iniziò a frugare
nel computer. Il risultato fu clamoroso. C’erano lettere
d’addio per tutti:
Tutte iniziavano con queste parole:
Questo file dovrà essere mostrato a… nel caso
mi succedesse qualcosa.
Al
cugino Daniele.
Sai,
noi non ci assomigliamo. Siamo diversi in tutto, nelle azioni,
nel fisico, nel carattere….. c’è solo una
cosa tra noi in comune. Ti stai chiedendo forse cosa? Abbiamo
avuto entrambi tanti problemi. A parte i tuoi problemi di
testa, perché tanto normale non sei mai stato, sto
parlando dei tuoi problemi veri, quelli che hanno affrontato
la tua famiglia e la mia, quelli che ci riguardano in prima
persona e… tutti gli altri. Sicuramente sono cose diversissime,
ma penso siano sulle stesse basi o, almeno, in comune si chiamano
problemi. Ho scoperto di avere un amico. Il nostro rapporto
è fondato soprattutto su litigi, che il tempo ha sempre
guarito, rendendo solida, impenetrabile e massiccia la nostra
amicizia. Perché spendere tante parole che non c’è
brano, non c’è frase, non c’è poema
per descrivere tale sentimento.
Sai perché si è amici, amici veri? Perché
c’è umorismo, c’è comprensione,
perché si è uguali. Tu sei un amico. Sai infine
credo che ci assomigliamo molto, noi due.
Bibien
P.S.
Nella vita cerca di copiare da tuo fratello (inteso come forza
di volontà e non per…. altro) e non da tuo cugino,
che pensava di essere speciale, pensava di essere un ribelle,
pensava di avere il grande dono della sensibilità,
e, forse, quella l’aveva, ma troppa pazzia, troppa vanità
e troppa poca forza di continuare scorre nel suo sangue, dato
che il cuore lo sprigionava così, ma non per sempre.
Ora ho capito.
Secondo
P.S.
Ora te lo posso anche dire, la poesia che scrissi a 10 anni
“il silenzio e il nulla” e l’altra, non
erano speciali. Cioè erano stupende, ma mi sembrano
copiate da “Il niente” di Masini. Forse mi starai
insultando, ma ora arriva il complimento. La frase che mi
è rimasta in mente, le parole più belle che
ho visto in quelle pagine di computer erano: MI PIACE PERCHE’
E’ MIO
MI PIACE PERCHE’ E’ TUO
MA SOPRATTUTTO MI PIACE PERCHE’ E’ NOSTRO.
Ciao
Bibien
Alla
cugina Viviana
…..Sai
cosa apprezzo molto in te? (scusa la mia poca profondità)
Sei una delle poche che ride alle mie battute, certe volte
incomprensibili, sovente troppo pesanti. Tu ridi e mi incoraggi
a dire nuove cazzate (non fartene una colpa).
A parte gli scherzi, ti ammiro molto, tu e tutta la tua famiglia.
Vuoi sapere perché? Perché siete una casa! No,
non è un offesa, intendevo dire che siete dei mattoni
resistenti, insostituibili ed essenziali; stava per cadere
un mattone, ma per fortuna ha deciso di mettere un bel po’
di cemento, per far si di non correre rischi. Sicuramente
hai capito a chi mi riferivo e certamente la vostra casa non
cadrà mai (riguardo alla casa vera invece ho qualche
dubbio). Anche io e la mamma siamo due mattoncini, più
piccoli, ma formiamo ugualmente una casa, forse più
accogliente di altre!
Ciao
P.S.
Tu saresti sicuramente più psicologa di me, ma ora
che posso, vorrei darti un consiglio. La tua famiglia e te
sapete riconoscere bene quali sono le cose buone e quelle
cattive. Adolescenza? Immaturità? Confini dei pensieri
logici e quindi la pazzia? Non lo so cosa mi sta accadendo,
forse sono solo momenti della crescita….Ma se tu vedi
in un ragazzo qualcosa di strano, che forse hai già
visto in me, ti prego, aiutalo o uccidilo, se non è
già morto. Voglio scrivere anche a te una breve poesia
con la quale concludo:
Crebbero i peli
Crebbero i baffi
Crebbe la barba
Lui maturò, diventò adulto.
Le mani ruvide invecchiarono,
ma il tempo lo picchiò spesso,
e in breve impazzì.
Pensava al suicidio, ma le sue
Vecchie braccia non ce la facevano.
Morì
Morì all’età di 14 anni.
Ciao Bibien
Alla
cugina Silvia
Spero
che un giorno andrai a Parigi a vedere la tomba di Jim Morrison.
Non vorrei proprio fare una fine del genere, non perché
è morto, ma perché è morto così….
L’idea della morte non mi spaventa, mi spaventerebbe
sapere di non riuscire a fare tutto ciò che ho in mente
di fare. Per esempio vorrei fare una lettera a tutti i miei
parenti e amici più stretti, una letterina come questa,
dove potrei dire tutto e non dire niente, dipende da come
si interpretano le frasi.
Mi piacerebbe scrivere un libro, anzi più di uno e
un genere diverso per ognuno. Mi spiace di aver parlato solo
ed esclusivamente di me, in queste poche frasi, ma sai, ogni
tanto, anche tu ti sfoghi con qualcuno. Spero che tra me e
te si instauri o comunque si rafforzi un rapporto di intesa.
Non riesco a credere che ogni minuto della mia vita, ogni
sensazione, ogni cosa che mi capita, tu l’abbia già
scoperta da tempo. Con questo non voglio dire che la mia vita
è uguale alla tua, o viceversa, ma che solitamente
la vita riserva delle sorprese, delle scoperte, dei cambiamenti
e, chi prima chi dopo si è costretti a maturare. Così
ogni cosa che scopro di nuovo so che tu l’hai già
scoperta, probabilmente, e sapresti come comportarti di fronte
a certi problemi. Tu che per prima mi hai letto una poesia
di Jim, e quindi, di com’è scivoloso essere sensibili.
Forse un giorno leggerai un libro dalla copertina liscia,
o su dei semplici fogli di carta ingiallita dal tempo, delle
frasi piene di significato, o forse con più significati,
che il tempo non porterà via, perché saranno
pieni di vita, di sentimenti, di storia, ma soprattutto piene
di ciò che io sono stato.
Ciao
Bibien
Per
DENISE
Troppe,
troppe sono le cose che dovrei dirti in questo caso….Dovrei
essere anche molto abile, per riuscire ad esprimere tutto
senza commuoverti.
Per prima cosa voglio darti un consiglio, anche se so che
solitamente sono i genitori a dare i consigli ai figli e non
viceversa. Non lasciarti traumatizzare dalla storia della
famiglia, dai problemi e da tutte le cose definibili come
veri e propri colpi nello stomaco.
Cosa diceva Jim? Bisogna sempre essere in fase di rivoluzione,
lasciarsi andare. Questo consiglio l’hai sempre seguito,
forse inconsciamente, ma ora non so che farai.
Come già detto non si può raccontare una vita
in poche righe, ma forse posso riassumere.
Immaginami lì con te, mamma, ed io che ti stringo la
mano. La mia stretta è forte, ma non fa male, anzi,
senti uno strano calore. Quel calore ha un nome proprio: amore.
Questo è il solo ed unico riassunto che si può
dare al sentimento che c’è tra madre e figlio,
ma non una madre e un figlio qualsiasi: noi. Non importa se
rare volte è stato evidente, penso che tu lo sappia.
Molti sono i rapporti basati su incomprensione, ma da lì,
solo da lì, può nascere un vero affetto.
Non piangere, mamma. Voglio riconoscerti nella donna in gamba,
sicura e abile che sei. Spesso non lo capisco, ma poi ci ripenso
e sorrido. Io la conosco, io so che c’è, io credo
nella sua sensibilità, troppo o poco evidente, non
so.
Anche tecnicamente parlando non posso averla presa che da
te questa cosa che sento dentro. Cosa? E’ meglio di
uno spinello, meglio dell’acqua di sorgente, meglio
degli angeli. E’ un modo di vedere le cose al di fuori
dell’aspetto fisico, in un modo surreale, ma penso sia
il paradiso. Entri nella mentalità di Gesù e
di Morrison messi insieme, anche se è un abbinamento
assurdo, forse ossessivo, che però ti permette di vedere
tutto, allarga la mente, senza l’aiuto o l’ostacolo
di qualsiasi allucinogeno. Non mi lascerai mai mamma, come
io non lascerò mai te. La morte non è che uno
stupido e insignificante muro che invece nella vita può
essere più spesso e quindi più pericoloso. Ti
prego mamma, non deludermi, resta in te, dimmi che mi capisci.
Ora me ne vado mamma, come l’onda sulla spiaggia e se
tu mi rivuoi, guarda intorno, guarda di fronte a te, e sui
tuoi scogli io m’infrangerò. Quando verrà
sera fai il bagno nel mare caldo della mia mano e guarda la
luna. E’ bella vero? Allora la tua anima lasciala volare,
lascia che si alzi, perché ora hai i miei occhi che
si alzano al cielo, come l’alta marea.
Ciao, perché non potrà mai essere un addio.
Bibien
Ai
compagni di scuola
Vedo
cose che non dovrei vedere e viceversa non vedo altre che
mi dovrebbero essere chiare.
Non so perché mi era fissa nella mente quest’idea
così strana di buttarmi. Un paio di ore fa ero convinto
di ciò che avrei fatto. Sarei andato lì, sul
balcone più alto del palazzo accanto e poi sarebbe
stato affidato tutto al mio coraggio. Probabilmente il coraggio
non mi sarebbe mai venuto, ma non ci conterei troppo.
Poi però penso alle parole di un’amica “Il
coraggio non è morire, il coraggio è vivere”
ho capito che aveva ragione.
Io sono codardo, lo so. Ma ora che tanti amici pensano a me,
il codardo è svanito o meglio, sono un codardo senza
coraggio. Vi prego urlate, urlate, urlate, ditemi che sono
un fallito, che avevate ragione, che non avrei mai avuto il
coraggio, che sono una merda. Ma ora non bado a queste cose.
Sono cieco. E’ tutto buio, ma prima di guardare come
sono esternamente devo guardare me, con il coraggio di andare
su quel terrazzo e dire NO, non fa per me. Vorrei solo vedere
il tramonto sul mare un’ultima volta, perché
da piccolo disegnavo solo quello. Mio padre mi aiutava però;
E se oggi disegno il tramonto con la mano destra, traccio
l’orizzonte e incontro una mano: è solo la mia
mano sinistra che ormai è bianca, cadaverica, senza
vita come me.
Aiutatemi a trovarmi
Aiutatemi a trovarmi
Aiutatemi a trovare il Bibien sempre allegro che se ne fotteva
se gli moriva il padre e quando pensava fosse morto, arrivava
una telefonata ed era lui.
Aiutatemi a tirar fuori tutte le cose che ho visto e ho sentito
in ospedale.
Qualcuno lì, dalla nave, mi butti un salvagente, perché
possa dimenticare queste acque così fredde. Portatemi
via dalla pazzia, che mi sta per baciare, e lo dico veramente.
Portatemi via, perché non voglio sentire più
arrivare da lontano il treno, il treno che volevo prendere.
La decisione più grande è già stata presa
ed è quella dentro di me. La decisione più grande
l’ha presa il capitano di questa nave, fra milioni di
navi, che oggi ho scoperto di essere io.
Non sarà un addio
Bibien
XXVI
Il
dottor Menni osservava la cliente seduta di fronte a lui con
fare cupo.
“Ma lei di questo figlio ne ha fatto un cervellotico”
“Non ho fatto niente!” rispose la donna.
“Ha coltivato l’aspetto intellettivo.”
“No, è sempre stato così. fin da piccolo.
L’ho sempre definito un sofista, perché sa sostenere
una tesi e convincere e il giorno dopo, il contrario, e convincere.
Conosco mio figlio, almeno per questa sua prerogativa.”
“E’ chiaro che non ha nessuna intenzione di uccidersi.”
“Si, questo l’ho capito anch’io, ma vorrei
aiutarlo e non so come fare.”
“Usi il suo stesso metodo: scriva”
“Scrivere?”
“Si, gli scriva dicendogli che sta diventando adulto
e che deve avere il coraggio di vivere da adulto e per questo
ci vuole fatica, responsabilità, impegno. Deve abbandonare
l’infantilismo, che vuole la mamma tutta per se, eliminare
le fantasticherie, essere meno esibizionista, tuffandosi invece
nella concretezza di tutti i giorni. Le palle si fanno con
fatiche concrete, non scrivendo romanzi al computer.”
Denise guardava la biglia pelata e lucida e si rammaricava
dentro di se per aver scelto quel consigliere così
brutale. Suo figlio soffriva, e motivi concreti ce n’erano
tanti, e lei avrebbe dovuto scuoterlo con ramanzine di quel
tipo. Intanto lo psicologo continuava:
“ Faccia il possibile perché accetti di parlarmi,
qualcosa gli direi anch’io. Gli dica che apprezzo il
suo eccellente modo di esprimersi, la sua intelligenza, ma
che sta correndo il rischio di fuggire nell’immaginario.
E’ giusto sognare un po’, ma è più
importante vivere. E la vita è una dura palestra che
richiede fatica costante. Richiede pratica, non solo teoria,
rapporti umani profondi non immaginazione.”.
La donna ascoltava ed annuiva ad ogni frase.
“Gli dica anche che non avrebbe mai voluto scrivergli
perché sperava di potergli parlare direttamente, ma
che comprende come per un’adolescente, sia difficile
un dialogo con i genitori.”
Il professionista continuò la sua serie di consigli
e Denise si accomiatò con un biglietto sul quale era
riuscita ad annotare qualcosa di quanto aveva udito, mentre
due grosse lacrime scendevano sulle guance pallide. A malapena
riuscì a balbettare:
“Le sue parole mi fanno sempre sentire piccola e incapace,
come un uccellino che deve proteggere il nido dalla furia
dell’uragano.”
L’uomo, guardandola con profondità, le prese
la mano e la trattenne per qualche secondo:
“Lei non è un uccellino impaurito, lei è
un’aquila reale. Non si scoraggi, è molto difficile
educare un ragazzo.”
Denise non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo. Sentì
rifrangersi addosso tutto la virilità che egli emanava.
Confusa ritrasse subito la mano. Poi il dottor Menni continuò
a parlarle:
“Venga presto a riferirmi qualcosa. Anzi le dirò
di più. Questo caso mi interessa molto. Vorrei mi autorizzasse
a leggere nelle mie conferenze la lettera ‘Innamorato
di un sasso’ naturalmente con la massima discrezione
sull’autore.”
“Sarà un piacere, sapere che ciò che scrive
mio figlio a suo padre potrà essere utile per ammonire
altri padri che più o meno consapevolmente si defilano.”
“A presto.”
All’indomani mattina, mentre Bibien era a scuola, sua
madre affidava al computer questa lettera.
Caro
Bibien,
quando ti scrive tuo padre sembri il ragazzo più felice
del mondo, mentre io ho l’impressione di non farti mai
contento. Per questo, invece di parlarti, scrivo. L’altra
mattina, prima di uscire di casa per andare a scuola, ti dissi
che ci saremmo visti solo la sera perché dovevo recarmi
a Desenzano per lavoro e tu hai fatto un’allusione che
mi è dispiaciuta. Non è la prima volta, io fingo
noncuranza, ma dentro di me qualcosa si strugge.
Sarebbe molto bello, in teoria poter stare sempre vicino a
te, come le mamme di una volta o come quelle che non lavorano,
ma credimi, finirei per diventare oppressiva e tu non riusciresti
a sopportarmi. Di fatto, devo lavorare, non ho alternative,
devo fare la spesa, devo sistemare la casa, devo risolvere
i problemi che via via si presentano ecc. Ma al di sopra di
tutto ci sei tu, spero che lo capisca bene. Non potrei immaginare
la mia vita senza di te, e ogni mia aspirazione nasce dal
desiderio di offrirti tutto quello di cui hai bisogno per
la tua vita attuale e per prepararti a diventare uomo. Forse
potresti andare avanti anche senza di me, ma preferirei che
tu mi ritenessi ancora utile, visto che ci sono e che ti amo
immensamente. Magari il mio affetto non si vede perché
spesso ti riprendo e mi lamento di te, ma fa parte del mio
ruolo di madre ed unica educatrice della famiglia.
Il mio linguaggio quotidiano si limita alle cose contingenti,
ma ciò non significa che non conosca le tue gioie e
i tuoi tormenti e che intimamente non li condivida. Le gioie
trapelano, i dolori li hai sempre voluti nascondere, forse
perché la tua maturità ti fa ritenere che si
tratti di un fardello solo tuo. Credi che sia vero? Quando
Gesù saliva sul calvario con la croce sulle spalle,
Maria lo seguiva poco distante in silenzio. Certo sotto il
suo velo piangeva, il peso di quella croce non era sulle sue
spalle, ma tutto sul suo cuore. Non posso paragonarmi a Maria,
ma come mamma, ti assicuro, che quando so che soffri per qualcosa,
anch’io soffro sotto un velo e ti seguo da vicino.
Caro Bibien, fra pochi giorni avrai quattordici anni. Non
sei ancora adulto, c’è altra strada da fare,
ma è ora di rimboccarsi le maniche e prepararsi a diventare
uomini. Non è l’età, certo, che fa di
un individuo un uomo, ma se è vero che non tutti diventano
uomini con la U maiuscola, vuol dire che il processo non è
spontaneo, ci vuole grande impegno da parte dell’individuo
e di chi è preposto alla sua educazione. Qualche volta
anche i calci in culo servono ad andare avanti. Ci vuole innanzitutto
coraggio per vivere da adulto, cioè sapere governare
le difficoltà che giorno per giorno nascono e non lasciarsi
sopraffare da esse. Ci vuole fatica, impegno, come quando
si sale un impervio sentiero di montagna con lo zaino pesante.,
e questo l’hai provato con gli scout. Ci vuole responsabilità,
cioè piena conoscenza di ciò che si affronta
e coscienza delle proprie forze e dell’obbiettivo da
raggiungere. Ci vogliono fatti concreti, ripetuti giorno dopo
giorno, come necessario allenamento per non essere debosciati.
Bisogna praticamente “farsi le palle”.
La vita è bella se riesci a prenderla in mano e per
quanto possibile, plasmarla secondo la tua volontà,
ma bisogna essere capaci. Bisogna passare attraverso un duro
allenamento, che purtroppo prescinde dalla teoria a te invece
tanto consona.
Farsi le palle, non significa essere palloso, scrivere romanzi,
seguire pensieri filosofici altrui, scrivere poesie, cullarsi
nei propri dispiaceri, annullarsi nella musica, identificarsi
in miti. Farsi le palle significa scendere dalla pianta, rimboccarsi
le maniche e fare tutta la fatica che il tuo essere ragazzo
di quattordici anni, studente, richiede. Finché non
si capisce che bisogna faticare per raggiungere un obiettivo,
non si arriverà mai dove si vorrebbe.
Non rimproverarmi quindi se non ti do tutto quello che vuoi.
Anche tu devi imparare la fatica di avere quello che serve
e se riuscissi, anche di più. Nessuno nella vita ti
regalerà qualcosa, e se non saprai prendertelo da solo
sarà un continuo fallimento. I genitori servono finché
uno è piccolo. Il piccolino vuole la mamma tutta per
se, il papà accanto che gli dia coraggio. Ora prova
un poco a reggerti da solo, lascia morire quel residuo di
infantilismo che ti fa dire “tanto tu non ci sei mai”
oppure “compri soltanto profumi per te.” Io ti
guardo da poco distante.
Non avrei mai pensato di scriverti, sarebbe più bello
parlare, ma per le cose serie tra noi c’è un
chiusura dialettica. (però solo dialettica), giustificata
anche dall’apparente incomprensione fra adolescenti
e genitori.
Ora smetto questo scritto per riprendere il quotidiano. Sarei
contenta se mi rispondessi, ma non sei obbligato a farlo.
Tempo fa ho parlato con il professor Menni. Lui si è
ricordato di te e del tuo modo di esprimerti, ma soprattutto
del tuo spiccato umorismo. E’ difficile incontrarlo
perché è diventato direttore di un centro pedagogico
ed è sempre impegnato in riunioni, ma è una
persona molto in gamba che sa propinarti le sue idee facendoti
morire dal ridere. Un po’ come te. Figurati che lui
non ha mai sentito parlare di Jim Morrison. Ritengo che bisognerebbe
illustrarglielo, per non lasciare questa lacuna ad uno che
ha scritto libri sulla psicologia e pedagogia dell’età
evolutiva.
Inutile dirti che ti voglio un sacco di bene!!!
La tua mamma
La
risposta non si fece attendere.
Cara
mamma,
oggi, dopo pranzo, tornando a casa e vedendo una busta a me
indirizzata, ho pensato ad una lettera del papà. Mi
sono subito accorto che la calligrafia sulla busta non era
la sua ed ho creduto che tu l’avessi aperta, letta e
subito richiusa camuffando la scrittura. Ti chiedo scusa per
aver pensato male ma non è tutto. Ho provato un certo
disgusto quando mi sono accorto che era tua, ma penso sia
una cosa normale, non essendoci abituato.
Cominciando a leggere ho trovato che soffri un po’ di
vittimismo e ho pensato di rispondere al tuo modo dolce di
scrivere, freddamente, buttando via la tua lettera.
Fino a qui ho parlato in modo freddo e crudo: l’ho fatto
per spaventarti un po’, ma tutto ciò che ho detto
è vero. Hai parlato di temi miei o che poco ti coinvolgono.
Io ti rispondo parlando un po’ di te.
Quando mi scrive il papà è naturale il mio atteggiamento,
forse però tutto non sai di me. Sopra di me c’è
l’occhio vigile e attento che osserva le mosse degli
uni e degli altri. Egli è giudice di chi mi piace e
di chi mi è simpatico e sa distinguere gli amici, i
genitori e gli amici genitori. Tu puoi far parte della seconda
e, ogni tanto, o forse spesso, della terza categoria. Il papà,
solo della prima. Non ti aspettare un linguaggio chiaro da
me, perché lo trovo inutile e monotono. Ma ora continuiamo
questa lettera che penso sarà lunga. Poco tempo fa
ti ho chiesto qualcosa di più, ma penso di essere stato
frainteso. Anche se può sembrare insignificante, chiedevo
qualcosa di più, materialmente, volevo e vorrei una
radio nuova, delle cassette nuove, un letto più grande,
delle cassette del game boy e soprattutto degli spiccioli,
quando te li chiedo. Prima di commentare, sappi che non volevo
essere presuntuoso, chiedendo troppo. Io volevo solo un po’
di normalizzazzione (non so se ci vanno due o quattro zeta),
rispetto ai miei amici che talvolta sono nella nostra situazione
economica. Ora, ad esempio, ho un astuccio pieno, fra UNI-POSCA
ed evidenziatori e mi sento più “pieno”
e per questo non pretendo di più, ma un po’,
sì.
Stasera è sabato. Tanti miei amici sono fuori. Vorrei
anche questa libertà, liberi da questo antico modo
di pensare.
Ora parliamo delle cose alle quali credo concretamente, a
cui tu ti sei riferita con il”farsi le palle”.
Cominciamo da Jim, del quale tu non hai parlato, ma ti sei
unicamente riferita. Mi è piaciuta molto la frase “annullarsi
nella musica”. Ciò è talmente vero, ma
serve solo ad annullare quello che tu vuoi e non te stesso.
Puoi annullare il dolore fisico e morale, puoi annullare dispiaceri
riportando la tua mente lucida come non mai. Non è
un metodo del tutto mio e anche se lo fosse non mi impedisce
di rimanere coi piedi per terra. Non è nulla, si chiama
musica allucinogena, c’è solo una differenza.
E’ vero anche questa crea dipendenza, dato che per nessun
motivo rinuncerei ad essa, ma la differenza è che la
musica è in ogni caso positiva e per questo non può
arrecare alcun disturbo.
BIBIEN
MORTO PER OVERDOSE DI MUSICA
Te lo vedi?
Non sono contrario al fumo se non è eccessivo ed è
normale, naturalmente sono contrario ai cannoni (spinelli)
ed in generale a tutte le droghe che generano dipendenza,
escluso il fumo normale, come già detto.
Spero di poter continuare con i mie discorsi di pura sincerità,
perché credo sia una bellissima cosa fra noi.
Ho parlato del papà, di Morrison ed ora ti dico altre
cose che mi hanno dato un po’ noia, nella tua (però)
splendida lettera.
Discorso psicologo.
Per quanto sia stato dolce il modo di introdurre questo discorso,
non mi hai fatto capire la mia instabilità, bensì
la tua. Con freddezza e un po’ di amara delusione ti
rispondo che non ne abbiamo bisogno.
Che differenza passa tra prostitute e psicologi? Entrambi
piacciono, entrambi hanno bisogno loro di noi (per i soldi)
e non noi di loro. Entrambi commercializzano amore e sentimenti
e sembrano aiutarti. Se devo andare da uno di loro,
con tutta sincerità, preferirei andare da una prostituta.
Ci sarebbe un ultimo argomento ma in questo momento 6 arrivata
e devo smettere di scrivere. L’argomento riguarda l’assurda
storia di Gesù.
Commento:
PORCO DI…..
Tanto è inutile fingere di essere un santarello. Mi
sento più protestante o induista….
Questa ultima pagina la dedico ai saluti e ai ringraziamenti
per la tua lettera.
Spero che i miei pensieri siano stati intesi pienamente e
niente sia stato frainteso.
Inutile dire che non ti voglio bene, perché tanto non
mi crederesti e faresti bene.
Un abbraccio forte
Bibien
XXVII
Dalla
piega degli eventi si capiva che Bibien aveva assolutamente
bisogno di qualcuno che raccogliesse le sue pene. Sua madre
allora si decise a telefonare al professor Paolo Carlini,
il nipote di Ginetta, del quale conosceva largamente i meriti
per i racconti della zia. Un aiuto psicologico vero e proprio
non era accettato dal figlio, ma almeno qualche buon consiglio
simulato tra una lezione e l’altra, poteva colpire nel
giusto. Denise contattò quindi il professor Carlini
per accordarsi sulle lezioni:
“Professore, forse le ha già riferito sua zia….”
“Si, me ne ha parlato.”
“Ecco, il ragazzo sta attraversando un periodo delicato.
Sarebbe bello se lei riuscisse a farlo parlare ogni tanto,….”
“Io sono un’insegnante, signora, non uno psicologo.”
“Lo so, lo so, non pretendo che lo faccia, ma troverà
sicuramente il modo di inserire un momento di dialogo dal
quale prendere spunto per qualche riflessione…”
Il sotterfugio le sembrava semplice: anziché spiegargli
sempre nozioni di matematica poteva, da uomo adulto qual’era,
insegnargli qualcosa anche della vita!
Dall’altra parte del filo la risposta fu:
“Si, d’accordo, ma io, le ripeto, sono un’insegnante.”
“Faccia quello che può, la ringrazio, ci sentiamo
più avanti”.
A pochi giorni di distanza il professor Carlini iniziò
a dare ripetizioni a Bibien, ma ogni volta incontrando Denise
ripeteva:
“Bibien deve studiare, altrimenti è inutile che
venga da me.”
Dopo l’ennesima solita filastrocca, in auto, mentre
tornavano a casa, la donna sbottò con suo figlio:
“Anche Carlini mi deve dire che non studi!”
Il ragazzo non si giustificò, era ben consapevole delle
sue negligenze. Confinando le mani all’interno delle
ginocchia, tergiversò dicendo:
“Quei due mi fanno morire dal ridere”
“Chi?”
“Il professore e sua madre.”
“Perché?”
“Durante la lezione continuano a litigare. Sua madre
lo chiama ripetutamente: Paoloooo, non hai abbassato l’asse
del water, Paolo hai fatto questo, Paolo hai fatto quello.
Lui fa una voce da bambino viziato e urla: mammaaaaa, smettila.
Oppure le dice qualche parolina poco gentile.”
“E’ ti fa ridere tutto questo?”
“Per come si comportano, più che farmi ridere
mi fanno un po’ pena.”
“Va bene, allora visto che non studi è inutile
spendere del denaro per queste ripetizioni, gli dirò
che non andrai più.“
Gli strilli maternalistici si calmarono di colpo. Quelle fortuite
rivelazioni mettevano in luce un aspetto mai considerato.
Denise decise in cuor suo di declinare ogni patetico approccio
ad un similpadre, calando definitivamente il sipario sul professor
Carlini.
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