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XXXI
L’Italia
è il paese più bello del mondo. Le sue coste,
le sue verdeggianti colline, le cime dolomitiche che raccontano
l’inesprimibile. Qualsiasi artificio retorico risulterebbe
iconograficamente povero rispetto alla realtà. Poi
gli artisti hanno esaltato la mente umana con espressioni
impari, qui, proprio qui nel nostro Paese. Una fusione straordinaria..
Dipende tutto dalla volontà: o godere di ciò
che la natura offre o implodere nel niente. Basta aver voglia
di allungare un braccio per prendere qua e là e se
il braccio è troppo corto, qualcuno può prendere
per noi e viceversa. Si può guardare con piacere un
fiore, ma ammirare le torri del Vajolet con la persona amata
è una kermesse di elementi riconducibili al punto apicale
chiamato felicità.” Con questi pensieri Denise
traduceva le sue emozioni, mentre ansimando si inerpicava
in compagnia di Corrado in direzione del rifugio Re Alberto
ai piedi delle famose torri.
Quando il respiro divenne affannoso, la donna si fermò
e rivolse lo sguardo al blu del cielo, al variegato grigio
delle guglie rocciose e ai discontinui agglomerati calcitici
che, così abbinati, costituivano una pregevole combinazione.
Aguzzando lo sguardo si accorse che un’aquila si librava
alta sopra di loro. Non aveva mai visto un’aquila dal
vero. Con volo solitario e regale rimaneva in quota e si lasciava
trasportare dal vento senza un minimo batter d’ali.
Planava sopra il suo smisurato habitat senza compagnia, incontrastata
si allontanava, poi ritornava sopra di loro come se volesse
controllarli. Volava silente, padrona e regina del luogo.
Denise la osservava a bocca aperta, ammirata. Non si comportava
come i corvi, o gli altri uccelli, sempre a stormi e rumorosi.
Anche gli uomini hanno sempre bisogno di circondarsi di qualcuno,
di vociare, di vedere, di toccare ciò che posseggono,
di garantirsi un fatuo protagonismo, di muoversi con rumore
per convincere di valere. L’aquila non ha bisogno di
rumoreggiare per godere della sua eccellenza.
Mentre continuavano la salita Denise osservò il suo
compagno che pian pano la distaccava e rammentò il
giorno in cui Corrado le disse “Lei non è un
uccellino impaurito, lei è un’aquila reale”.
Fu invasa da una tenerezza smisurata. La felicità ha
confini notoriamente limitati, quando sei immerso in essa
è come se la pozza d’acqua che ti circonda fosse
l’oceano. Denise procedeva a passo lento senza più
accusare la minima fatica, guardò il suo amore ormai
distante e pensò che fra loro due l’aquila reale
non era lei.
XXXII
Tornata
a casa dovette, suo malgrado, immergersi nella quotidianità.,
la vera sostanza della sua vita. La nonna Agnese che abitava
al piano sottostante, le andò incontro preoccupata.
“Bibien mi ha fatto spaventare”
Denise viveva in un’altra dimensione, ma riuscì
ad ascoltarla.
“Mi aveva pregato di non entrare in casa vostra, di
non disturbarlo assolutamente perché un amico si tratteneva
a dormire. Ma insisteva troppo sul fatto di non disturbare:
mi insospettii.”.
“Cioè?”
“Stavo ad origliare ogni passo per niente tranquilla
poi sono salita per controllare, ma la porta era chiusa a
chiave. Ne stanno combinando una grossa, mi dissi., temevo
per la droga. Tutta la notte non ho dormito. Questa mattina,
ancora spiando qua e là mi sono accorta che in casa
c’era una ragazza. Allora mi sono messa in pace”.
Denise ascoltò e non disse nulla. Suo figlio, che ormai
frequentava la seconda liceo, era spesso in compagnia di una
biondina dai capelli lunghi e gli occhi chiari. L’aveva
incontrata più volte, anzi, la ragazzina le aveva confessato
di non riuscire a distogliere il pensiero da Bibien. Il ragazzo
aveva un interessante modo di proporsi e le carenze estetiche
erano compensate da qualità psicologiche, frutto anche
di sofferenze maturate nel verso positivo. Iniziava anche
per lui il tempo dell’amore. Denise intimamente si consolava.
Che cosa poteva desiderare di più dalla vita? Che cosa
c’è di meglio per una madre che vedere i propri
figli felici? Il tempo del suicidio era passato, quello delle
grandi paure e delle forti aspettative, pure. Altri periodi
difficili forse sarebbero arrivati, ma le basi erano ben piantate.
Bibien era sempre innamorato di quel sasso che raramente si
udiva rotolare qua e là. Strada facendo però,
questo idolo perdeva un po’ di del suo prestigio. Denise
non istigò mai suo figlio a disprezzare il padre, convinta
che il rancore danneggi unicamente chi lo prova. ”Certo”
pensava “questa generazione di figli senza padre non
evolverà in erratici padri senza figli. L’offerta
rimasta nelle mani, andrà al più debole fra
i piccoli; le perle, non cadranno nel porcile, ma faranno
la gioia di qualcuno. Questi ragazzi sono migliori dei loro
padri!” Per lei era una certezza. Li vedeva questi figli
di sole madri in casa sua: quello col padre che si attacca
troppo spesso alla bottiglia; quello che vede il papà
una volta all’anno; quello il cui padre ha da molto
tempo un’altra famiglia e sbaglia nome quando lo saluta.
“No, questi ragazzi non saranno come i loro padri!”
Aveva questa persuasione, tuttavia non si sentiva in pace.
Quell’week-end fulgido, quella straordinaria breve vacanza,
sarebbe rimasta come un tatuaggio nascosto sotto l’abito
della normalità o altri giorni speciali si sarebbero
succeduti? Lei lo sperava. Anche se aveva imparato a fare
a meno della felicità, nessuno le impediva di fantasticare.
Era ormai la fine dell’estate e la recrudescenza del
tempo meteorologico ammoniva quello degli eventi. Tutto sarebbe
rientrato nei ranghi? Nella città dove Shakespeare
concepì una vicenda di amanti infelici, assistendo
alla rappresentazione dell’altrettanto triste storia
della Madama Butterfly, si era immersa in un’onda di
passione che aveva inzuppato di amenità quelle poche
settimane. Forse la mareggiata si sarebbe ritirata, lasciando
il patetico spettacolo di due naufraghi tremebondi, ma lei
non ci voleva pensare. Si era tuffata a capofitto, sorda agli
ammonimenti delle premesse, bramosa di possedere a brancate
ciò che doveva esserle negato, avida di amore e di
gioventù sfuggente. Voleva volare in alto e lasciarsi
trasportare dal vento.
XXXIII
Il
pomeriggio è ancora caldo e assolato, anche se siamo
ai primi di ottobre. Tre persone camminano lentamente lungo
gli ampi giardini che costeggiano la parte più a nord
del lago di Zurigo, respirando un’aria felice. Sulle
panchine disposte sulla sponda, un gruppo di ragazzi di colore
spaccia marijuana senza troppi sotterfugi. Uno di loro si
rivolge ai tre passanti con parole incomprensibili, ma corredate
da cenni eloquenti. Bibien e Daniele sorridono, Denise invece
si affretta a chiedere che cosa vogliono da loro, con atteggiamento
agguerrito, contrariata per tanta sfacciataggine.
“Dai, mamma compriamo la marijuana oggi?”
“E quale marijuana potrebbe darci la felicità
che ora proviamo?”.
Bibien non smette di sorridere e si tocca e ritocca il naso.
“ E’ bello vero, mamma?”
“E’ bellissimo” risponde orgogliosa la donna
e ride per non cedere alle lacrime. Anche Daniele osserva
in continuazione il cugino che oggi esce dalla clinica con
un aspetto rinnovato, gli dà una pacca leggera sulla
spalla dicendo:
“E’ finita!”
A pochi metri dalla riva, sull’acqua azzurra, un cigno
procede regalmente verso la sponda, poi all’improvviso
si tuffa a capofitto e resta in verticale con la testa all’ingiù,
lasciando in superficie una bianca pennuta piramide e le zampe
palmate unite a mo’ di antenna. Un’occasione buona
per soddisfare la voglia di ridere, poi i tre si avvicinano
all’auto per il lungo viaggio di ritorno.
FINE
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