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Quel
pomeriggio avevo vestito a festa il mio terrazzo con dei cuscinoni
colorati e avevo messo una bottiglia di champagne in un cestello,
stracolmo di ghiaccio, sopra un carrello da giardino; era
il tramonto di una calda serata dì giugno ed io stavo
aspettando Edoardo che, per la prima volta entrava nella mia
casa e volevo accoglierlo come un gran giorno di festa.
Appena Edoardo entrò lo accompagnai direttamente sul
terrazzo, dove un bel dondolo ci stava aspettando; affondammo
sui morbidi cuscinoni dì cretonne a tinte vivaci che
lo ricoprivano armonizzando con le macchie di colore sparse
un po’ ovunque. In bella mostra, vicino alla porta finestra,
le mie rose azzurre sorridevano compiaciute di vedermi nuovamente
innamorata.
Mentre dondolavamo tenendoci per mano, il sole, alle nostre
spalle, sembrava ci facesse da cuscino tanto era all’altezza
delle nostre teste, carico di colore e di calore.
Brindammo alla gioia di essere ancora una volta insieme e
mentre sorseggiavo il mio champagne gli chiesi:
-Riesci a non pensare a niente quando sei con me?-
-Io
sono felice con te anche quando penso a tutto il resto, senza
mai dimenticare niente!-
M’accorsi
che nel dire quella frase, guardava l’orologio e perché
capisse che non mi era sfuggito quel suo gesto, ripresi col
dire:
-Sarebbe bello non doversi preoccupare del tempo che passa.
Inventarci insieme ora dopo ora, la notte e il giorno…
e ancora la notte e ancora il giorno-
-A
sentirti parlare, mi ricordo di un libro che lessi tanti anni
fa, in cui l’autore parlava dell’Africa senza
mai averla vista; con la fantasia riusciva a darne un’immagine
così perfetta da vedere due giovani leoni che amorereggiavano
come gattini su una stupenda spiaggia: era lui che aveva bisogno
di spazio e di libertà al punto di descrivere anche
ciò che non conosceva-
Gli
domandai se era mai stato in Africa.
-Si!
E vorrei esserci in questo momento con te, a far l’amore
come quei due giovani leoni-
Quel
dialogo mi affascinava e ripresi:
-Quando parli sai dirmi cose sempre importanti. Conosci una
frase stupida?… Una frase qualsiasi?… Magari che
sei geloso dei miei amici, del mio mondo, dell’uomo
col quale uscirò stasera?-
-Non
sono geloso degli altri. Sono geloso di te!-
Mi
prese una mano e l’appoggiò sulla sua fronte:
-Senti
quanto scotta? E’ febbre! Sono malato di te! Quando
ti penso, quando ti desidero, quando ti sento parlare-
-L’altra
notte, quando ti ho raggiunto in quella birreria, mi hai spaventata.
Non avevo mai visto un uomo così ubriaco. Perché
l’hai fatto?-
-Entrai
in quella birreria alle nove di sera. E da lì ti feci
la prima telefonata, ma non ti trovai e cominciai a bere,
chiamando casa tua ogni mezz’ora. Ti rintracciai solo
a mezzanotte… Questa maledetta febbre mi brucia quando
non ti trovo! Ti ho mai raccontato dei miei trascorsi di alcolista?-
Senza
aspettare la mia risposta, proseguì:
-Non
voglio parlare delle mie miserie. Parliamo della mia febbre
e di questa voglia che ho di baciarti-
-Tu
non ti ami molto!-
Più che una domanda la mia era una considerazione fatta
a voce alta e lui:
-Forse
non mi amavo fino a quando non mi chiedesti di volerti inventare
una notte insieme a me. Da allora mi voglio più bene!-
-Lo
sai cosa ho pensato la prima volta che ti ho visto appoggiato
al bancone del bar? “Quell’uomo deve accorgersi
che esisto, deve innamorarsi di me”. Se adesso siamo
qui sul mio terrazzo e perché io l’ho voluto.
Ricordo che quando ti dissi che ero romana, tu storcesti la
bocca per un senso di diffidenza. Io invece amo profondamente
questa città; è l’unica città che
mi permette di vivere come una vagabonda. Sono convinta che
anche tu hai l’animo del vagabondo-
-Non
pensare di me cose eccezionali. Io non valgo niente! Non sono
importante come credi, non so neanche scrivere bene come te.
Le mie ali le ho bruciate da un pezzo-
Nelle
sue parole c’era tanta amarezza e per sdrammatizzare
quell’argomento carico di malinconia, risposi:
-Vuol dire che sei uno a cui è sempre piaciuto “volare
alto”!… Cosa vuol dire essere importante? Per
me sei l’uomo più importante che abbia mai conosciuto.
Da quando ti ho incontrato, ho ricominciato a scrivere. Questo
non accadeva più da un pezzo. E’ come se avessi
ritrovato in una tasca che credevo vuota, tanti spiccioli
da spendere; anche se questo fosse l’ultimo “resto”
della mia vita, ho deciso di spenderlo con te!… Come
potrebbe essere un addio fra di noi?-
-A
schiaffi! Perché ti voglio bene e non potrei comportarmi
con dolcezza se dovessi perderti. Per questo ti prenderei
a schiaffi… pensi di lasciarmi?-
-No!
Stavo pensando quanto sarebbe stato bello se ci fossimo incontrati
al momento giusto. Ci saremmo divertiti a girare il mondo,
tu col tuo trombone ed io recitando versi nei vicoli più
dimenticati della terra. Un po’ come nel film “La
strada” di Fellini… che personaggio quella Gelsomina!
Lo sai che il costume da clawn mi ha sempre affascinata?-
Mentre parlavo, Edoardo mi stringeva dolcemente a sé,
carezzandomi i capelli ed io mi perdevo nei suoi meravigliosi
occhi verdi. I suoi capelli castano scuro gli scendevano sulla
fronte a causa di una leggera brezza che sì era levata:
il ponentino romano… E mentre pensavo che solo in quel
momento avevo scoperto il colore dei suoi occhi, ripresi a
dire:
-Lascia che il mio mondo si confonda col tuo. L’amore
è soprattutto scambio e conoscenza. Potresti dirmi
le cose peggiori di te, rimarresti comunque un suonatore di
trombone ed io Gelsomina. Un uomo come te non può essere
una banalissima “cosa”. Devi convincerti che hai
le carte in regola per essere tutto quello che vuoi essere
ed io ti amo a dispetto della tua realtà… Quando
ti rivedrò?-
-Non
posso programmare molto della mia vita. Ti prego di non farmi
domande, altrimenti mi fai sentire un disgraziato-
S’alzò
di scatto, andò verso la ringhiera del terrazzo ed
abbracciò con lo sguardo tutto quello che riusciva
a guardare:
-Quello
che vedo da questo terrazzo mi ricorda Parigi-
E
con tono amaro aggiunse:
-Allora
non avevo padroni. Non facevo ancora il giornalista, ma la
spia, il contrabbandiere, il suonatore di trombone-
Mentre
parlava dandomi le spalle, cominciai a mordicchiare un petalo
di rosa. Si voltò e vedendomi tormentare quel petalo,
s’avvicinò e me lo tolse dalle labbra con la
sua bocca, sussurrandomi:
-Quando
facciamo l’amore?-
Io
sentii delle contrazioni che partivano dal basso ventre. Come
se Edoardo si fosse accorto di quella mia sensazione, mi strinse
forte a sé, tanto che credetti mi stesse penetrando.
Le contrazioni, a quell’abbraccio, cominciarono a darmi
dolore, al punto che dovetti staccarmi da lui per acquietarmi
un po’:
-Perché quella notte a Palermo mi dicesti di essere
impotente?-
Era tanto che volevo fargli quella domanda, senza però
metterlo in imbarazzo e quello mi sembrò proprio il
momento giusto.
-Io
impotente?-
Mi
rispose tra il preoccupato e il sorpreso, ed io incalzai:
-Ricordo che quella notte mi baciasti, tutta, per delle ore;
soltanto all’alba, guardandomi negli occhi, mi dicesti
“anche se tu adesso divaricassi le tue gambe non potrei
penetrarti perché sono impotente”-
-D’accordo,
l’ho detto… Ho avuto soltanto paura di deluderti…
adesso, però, devo scappare. La prossima volta ci incontreremo
soltanto per fare l’amore…. Io e te parliamo troppo!-
L’accompagnai
con la mia macchina. Era in ritardo e non gli permisi di chiamare
un taxi. Volevo stare ancora con lui; volevo sapere perché
i suoi occhi erano spesso carichi di malinconia.
Nell’accompagnarlo mi disse che la moglie era morta
in un incidente stradale, lasciandogli una bambina di pochi
mesi. Si era risposato per dare una madre a sua figlia. Capii
che non aveva piacere di parlarne, così smisi di fare
domande. Prima di salutarmi disse:
-Tu
hai davanti un uomo che è stato stroncato a metà
e che è riuscito a sopravvivere alimentato da una invisibile
linfa. Non chiedermi perché soffro e perché
la mia sofferenza, ancora oggi, è così atroce.
Se avessi la ricetta della sofferenza o della felicità
te la mostrerei. Così potresti capire e potrei capire
anch’io com’è possibile sopravvivere a
dispetto del dolore… Chi sono io? Sono uno che scrive
perché un padrone gli ordina di scrivere… Mi
ami ancora con tutte le mie miserie?-
-E’
tanto terribile questa tua sofferenza?-
-Non
è “tanto terribile”, è terribile
e basta! Come la felicità è soltanto felicità
e l’amore è soltanto amore, né tanto né
poco. Domani devo partire per un “servizio”; starò
fuori per qualche giorno, ma al mio rientro ti telefonerò-
Mentre
tornavo a casa considerai la possibilità che forse
non mi avrebbe più chiamata. Io non sapevo niente di
lui, neanche il suo cognome: non avrei mai potuto rintracciarlo!
Fugai immediatamente questi pensieri dicendo a me stessa:
“No! Se è amore e non menzogna, il nostro incontro
durerà in eterno!”
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