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Camminò
a lungo sempre assorto nei suoi pensieri, che eternamente lo portavano
a rimpiangere attimi di vita inesorabilmente lontani, poi quando
sentì che la stanchezza gli aveva appesantito le gambe,
decise di fermarsi a prendere il latte in quel negozio che era
solito frequentare perché anch’esso lì da
moltissimi anni. Subito dopo salì di nuovo in casa.
Aveva già preso le sue medicine si era infilato il pigiama
ed aveva acceso la radio; era pronto per andare a dormire, quando
il telefono prese a squillare.
Andò a rispondere pensando che fosse il suo amico Luigi
che forse voleva sapere il motivo della sua diserzione dal circolo,
dove non si recava da qualche giorno.
Fu invece con sollievo che udì la voce di sua nuora. La
moglie di Luca lo aveva chiamato per pregarlo di andare da loro
l’indomani e fermarsi almeno per il fine settimana.
Papà -stava dicendo Sara,- se non vuoi guidare verrà
Luca a prenderti: non siamo all’altro capo del mondo dopotutto
e qualche giorno con tuo figlio e i tuoi nipoti non potrà
che giovarti.
Questa prospettiva, sebbene lo allettasse, non trovò pronto
riscontro in Sergio: ma sua nuora, che aveva imparato a conoscerlo,
insistette fino a lasciar cadere le sue ultime riserve.
E’ molto affettuosa Sara nei miei confronti –pensò
sorridendo- mentre si accingeva a sdraiarsi. “Sono soltanto
io l’orso della situazione!” -ripetè a se stesso-
Poi come ogni sera, mandò un bacio a Clara e si addormentò.
Il mattino seguente appena giudicò che l’ora fosse
decente per chiamare qualcuno al telefono, Sergio avvisò
Gigliola ed Enrico, che sarebbe andato a casa di Luca: non voleva
che i suoi figli fossero in apprensione se, cercandolo, non lo
avessero trovato in casa.
Nella voce di ognuno di loro riconobbe una sorta di sollievo per
non saperlo solo, sebbene per pochi giorni, e questa constatazione
lo rese felice e fiero di essere loro padre.
-Forse… sono davvero un po’ egoista a non voler abitare
con nessuno dei miei figli -andava ripetendosi mentre preparava
quelle poche cose da portare con sé- Certamente ognuno
di loro sarebbe più sereno se mi decidessi a farlo, ma
certamente nessuno può comprendere quanto io abbia bisogno
della mia casa, dei miei ricordi, dei luoghi dove per tanta parte
della mia vita ho vissuto!
Certamente non potrei farne a meno - concluse tra sé e
sé-
Ogni volta che si allontanava da quella casa, dopo che Clara era
venuta a mancargli, nasceva nel suo animo una sorta di rimorso.
Si sentiva vile come se stesse abbandonando qualcosa di cui lei
lo aveva lasciato custode.
In verità solo la morte avrebbe potuto farle dimenticare
la felicità vissuta tra quelle mura che sembravano ergersi
a sentinelle di un tempo inesorabilmente trascorso! I suoi ricordi,
le sue gioie e i suoi dolori, erano tutt’uno con ogni cosa
che si mostrava ai suoi occhi. Tutto gli riportava alla mente
mille sensazioni magiche e dolci, che filtrate dall’anima,
si trasformavano in velata e struggente malinconia. In alcuni
momenti soltanto l’angoscia gli ricordava d’essere
ancora vivo!
Nella solitudine della sua casa gli era possibile ricordare, con
estrema chiarezza, i particolari di ogni attimo che vi aveva vissuto
con sua moglie.
Quella porta d’ingresso -pensò- l’aveva accolta
quando, tra le sue braccia, Clara vi era entrata vestita da sposa.
Quel corridoio… quante volte i suoi figli vi avevano corso
per gioco, provocando l’ira degli inquilini sottostanti!
La cucina poi era il luogo dove,che più di ogni altro della
casa, loro due usavano fermarsi dopo cena per parlare dei loro
problemi o della loro gioie. Aveva l’impressione che conservasse
ancora l’eco della voce di sua moglie, quando raccontava
a lui le monellate di Luca e Marco dopo che essi si erano ritirati
nella loro stanza e Gigliola aveva aperto il suo divano letto
in sala da pranzo. La casa non disponeva di una stanza in più,
quindi quella era stata l’unica alternativa che avevano
avuto.
Quanti ricordi! -pensò Sergio- E quanti anni! Sovvennero
alla sua mente tutte le volte che lui e Chiara, quando la loro
posizione economica si fu consolidata, avessero pensato di cambiare
quella casa con una più grande e come mai, invece, si fossero
veramente decisi a farlo. Poi quando Gigliola si sposò,
non ancora ventenne, il problema della stanza per lei non ebbe
neanche più ragione di porsi; così loro due accantonarono
definitivamente l’idea.
Ma la verità –realizzò Sergio- è che
questa casa l’abbiamo amata sempre!
Quando i nostri genitori l’acquistarono per noi avevamo
vent’anni. Clara ed io abbiamo scoperto la dolcezza del
nostro amore tra queste pareti, dove abbiamo visto crescere i
nostri figli; sul nostro letto, le ho dato il bacio d’addio
quando la morte me l’ha portata via. Dopo quattro anni che
lei se n’è andata per sempre, aprendo l’armadio
della nostra stanza, io riesco ancora a cogliere il profumo di
lei tra le sue cose, che non ho mai permesso ad alcuno di togliermi.
Vivo a volte la sua presenza come fosse ancora con me! Mi rendo
conto -concluse mentalmente– che questi potrebbero sembrare,
agli occhi di tutti, i vaneggiamenti d’un povero vecchio!
Invece è quel che resta della mia vita: amare e odiare
la mia solitudine.
Il silenzio di questa casa, la luce soffusa dei miei ricordi,
alimentano la mia desolata tristezza che non amo mostrare neanche
ai miei figli -si disse ancora- Però è qui, proprio
in questa solitudine, che io sento di poter vivere liberamente
il mio dolore. Come potrei farlo con loro?- concluse mentalmente.
Il campanello di casa che suonava, lo distolse dai suoi pensieri;
si accostò alla porta d’ingresso la aprì ed
un attimo dopo si ritrovò tra le braccia di suo figlio.
Anche per questo si vive! -ripetè a se stesso- Poi sollevò
il viso per guardare meglio in volto quell’uomo, che fisicamente
lo sovrastava, e si sentì egli stesso un gigante, pur nella
sua media statura.
Provava un orgoglio immenso per i suoi figli. Non soltanto perché
la natura era stata così magnanima nel renderli indubbiamente
gradevoli nel fisico ma, anche e soprattutto, per averli resi
onesti laboriosi e responsabili, così come Clara e lui
avevano sempre desiderato che fossero.
In quel momento ebbe la strana percezione che la sua solitudine,
fosse il tributo che Dio aveva preteso da lui, quale espiazione
di una vita serena accanto a sua moglie e, per la fortuna che
aveva avuto crescendo dei figli come i suoi.
Fu Luca a scuoterlo dai suoi pensieri chiedendo a suo padre se
avesse ricordato di portare con sé le sue medicine. Alla
risposta affermativa di Sergio decisero entrambi che, a quel punto,
era meglio chiudere casa e andare.
In auto padre e figlio parlarono del più e del meno: al
vecchio non parve vero di sentire nel cuore quella serenità
che si appropriava del suo essere mentre, con una sorta di indefinita
voluttà, assaporava la compagnia dell’uomo. Questi
appariva ai suoi occhi tale ad una, delle tre opere d’arte
che lui e la sua Clara, avevano realizzato insieme.
Quando era emozionato un leggero tremito della mano destra lo
prendeva.
Era già da qualche tempo che questo avveniva e Sergio non
ci faceva neanche più caso.
Ma Luca se ne avvide immediatamente e chiese a suo padre di parlarne
col suo medico.
“L’ho fatto non ti preoccupare figlio mio!”
-rispose Sergio- E continuò a spiegare che prendeva una
pillola nuova proprio per questo tremore che a volte lo assaliva.
Suo figlio decise che l’avrebbe accompagnato personalmente,
alla sua prossima visita, per farsi spiegare meglio tutto sul
suo stato di salute. Poi l’argomento fu momentaneamente
accantonato.
Giunti in casa l’anziano vi trovò un’accoglienza
calorosa e sincera.
Sua nuora lo abbracciò con tanto affettuoso trasporto e
si disse dispiaciuta che Antonella e Riccardo, i suoi figli, non
fossero ancora a casa.
“Sai papà -disse la donna- i ragazzi saranno qui
per il pranzo” e spiegò a suo
suocero che, l’una era ancora a scuola e l’altro non
era ancora rincasato dopo i corsi all’università.
Lo pregò poi di sedersi in salotto o andare nella stanza
che aveva preparato per lui. -“Voglio tu sappia che qui
sei in casa tua” -seguitò a dire- fai perciò
cosa meglio credi, per stare più comodo.
Tanto affetto scalda il cuore -si disse Sergio- mentre scelse
invece di sedersi proprio lì in cucina. Aveva bisogno di
ascoltare voci, di rivedere una donna indaffarata davanti ai fornelli.
Sentiva la necessità di quelle piccole cose, che pure rendono
vera la vita.
Quando i suoi nipoti giunsero a casa e lo trovarono, espressero
prima con gli occhi che con le parole la gioia di vederlo. Sergio
riuscì a cogliere in quel loro comportamento, tutto l’affetto
che quei ragazzi nutrivano per lui e si commosse.
Quel giorno l’uomo non ebbe motivo per sentirsi solo: pure,
come non mai, egli lo fu!
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