Paragrafi:
01 02 03
04 05 06
07 08 09
10 11 12
13 14 15
16 17 18
19 20 21
22 23 24
25 26 27
Zola,
appena alzato, compì il suo giro per i boschi anticipando l’orario
rispetto al solito. Sua figlia Anna si era accorta del cambiamento e la sera
prima gli aveva chiesto: “Come mai babbo, esci quando è ancora
buio?”
“Te
ne sei accorta?.. .E’ per essere il primo a passare nei sentieri dove
stanno i funghi. Dopo le giornate di pioggia molti raccoglitori improvvisati
si spingono da queste parti, distruggono tutto, strappano dalla terra anche
i funghi velenosi, che pure hanno la loro utilità nella simbiosi naturale.
Ma il peggio è che queste persone usano buste di plastica, rastrelli;
scavano e inquinano portandosi via le preziose spore che, se usassero dei cestini,
ricadrebbero a terra”.
“Val
la pena di perdere il sonno per essere il primo a passare tra i boschi?”
“Sai
bene, Anna, che più di cinque-sei ore non riesco a dormire, perciò,
alzandomi presto non soltanto non perdo sonno, ma guadagno tempo”.
“Si,
lo so. Almeno però copriti bene che con quell’umidità non
ci vuoI molto a buscarsi un malanno!”.
Il vecchio aveva
ascoltato i suggerimenti di sua figlia e indossato un cardigan di lana. Il pretesto
dei funghi gli serviva per uscire presto e tenere la situazione sotto controllo.
Ormai conosceva gli orari e le abitudini di Fortuna che alle prime luci dell’alba
veniva fuori dal suo nascondiglio e camminava per circa mezz’ora. Zola
la osservava dal luogo-osservatorio posto tra i ruderi della Sinagoga. Si preoccupava
solo di verificare che la ragazza stesse bene e che si trovasse ancora nella
fabbrica.
Non riusciva,
per il momento a fare altro. Diceva a se stesso che un giorno o l’altro
avrebbe dovuto trovare il modo di avvicinare la ragazza per parlarle, per cercare
di aiutarla. Non voleva però spaventarla e attendeva quindi l’occasione
buona per agire senza danneggiare nessuno. Era importante, per questo motivo,
che lui capisse qualcosa di più di quella storia.
Doveva in
ogni caso muoversi presto perché il giovane Lamin Moundou si trovava
a pagare per un reato che non aveva commesso.
Tornò
a casa e preparò il caffè. lo portò alla figlia, poi scaldò
il latte per i nipoti e mentre erano tutti a tavola uscì sul portico
ad ascoltare la radio.
Sintonizzò
sul radiogiornale delle sette:
“La posizione di Lamin Moundou, il nigeriano arrestato per la scomparsa di Fortuna Fasano, si è fatta ancora più difficile. Ulteriori indagini degli investigatori hanno portato al ritrovamento di alcune gocce di sangue nella tappezzeria della vecchia auto del giovane di colore. I risultati delle analisi hanno confermato che si tratta del gruppo sanguigno della ragazza scomparsa. La versione che l’uomo dà per giustificare la presenza del sangue non contraddice la versione data durante il primo interrogatorio. Già dall’inizio infatti Lamin aveva raccontato che Fortuna, prima di salire in macchina, correndo per raggiungere la strada provinciale, era caduta battendo il ginocchio su dei sassi che l’avevano ferita. Questa esposizione dei Jatti però non convince del tutto gli inquirenti che rilevano altrettanti dubbi sulla presunta esistenza della fidanzata dell’uomo. La donna si chiamerebbe Helen e, partita per tornare in Nigeria, sarebbe attualmente introvabile. Intanto lo sciopero della fame di Lamin Moundou continua. Attualmente si trova ricoverato presso l’infermeria del carcere dove attraverso delle fleboclisi gli viene assicurato sia il nutrimento che l’idratazione corporea”.
“Don
Gaspare?”
“Che c’è Rachele?”
“Vi devo dire una cosa?”
“Cos’è un’altra delle tue fantasie?”
“Le fantasie sono di chi pensa. Io invece cerco, e chi cerca trova”
“Che hai trovato?.. .Sentiamo”.
“Non avevo guardato dentro i libri della bimba. Ieri li ho sfogliati uno
per uno ed ho trovato questo foglietto”.
“Che cos’è?”
“Un conto delle calorie”
“Sono cose di scuola allora...”
“Leggete!”
Gaspare lesse:
CALCOLO
DI CALORIE, CARBOIDRATI. VITAMINE, PROTEINE NECESSARIE ALLA SOPRAVVIVENZA.
Sesso femminile, peso 53, altezza 1,65:
razione quotidiana:
CALORIE = 2000
PROTEINE = 55
VITAMINE LIPOSOLUBILI = A U. I. 5000/ D U. I. 400/ E U. I. 25
VITAMINE IDROSOLUBILI = C mg. 55/ fol. mg. 0,4/ Niae. mg. 13/ Ribofl. mg. 1
MINERALI = ca g. 0,8 / P g. 0,8 / I mg. 100/ Fe mg. 18/ Mg. mg. 300
LIOFILIZZATO DI MANZO g.20 = proteine 12,50 – Valore energetico Kcal
CICORIA g. 100 = Proteine 1,32 - Grassi = 0,49 - Carboidr. = 3,44 Calorie =
22,704
FUNGHI g. 100 = prot. 5,15 - Lipidi 0,30 - Glicidi = 4,36 - Calorie = 41,721.
ALTRO
Liofilizzato
g. 20 = L. 4.500
Salvadanaio
= L. 950.000
L. 950.000:
L. 450.000 = n.
100 Liofilizzati
(acquistando
100 liofilizzati spenderò quattrocentocinquantamilalire. Mi avanzeranno
500.000 lire per il biglietto del treno e altri acquisti)
Gaspare
e Rachele restarono muti per un po’ dopo che lui aveva finito di leggere
gli appunti di Fortuna. L’uomo osservò il foglio e lo ripiegò.
Poi batté con forza un pugno sul tavolo di cucina e disse:
“E’
andata via!”
“Ma
perché? Perché Madonna santissima!”
“Non
riesco a capire!.. Tu piuttosto cerca di ricordare...Ti ha forse parlato di
programmi di viaggi, magari con la scuola?” “No. A me non ha mai
detto niente... Forse la sua amica Clelia potrebbe saperne qualcosa...Voi cosa
pensate don Gaspare?” “Io mi infilerei la testa in un sacco per
non vedere e non sapere quello che ormai è chiaro. Mia nipote è
scappata!”
“Non
è detto!”, dobbiamo capire meglio il significato di questo scritto...
Dobbiamo parlare con le amiche di scuola, con Clelia...”
“Chiedi
a chi ti pare. Informati. Io mi andrei a sotterrare per farla finita”.
“Non
dite così! Tutto fa sperare in meglio in fondo. Se Fortuna è andata
via possiamo credere che sia ancora viva”.
“Forse”,
disse Gaspare.
Rachele uscì.
Telefonò a Clelia per avvisarla che aveva urgenza di parlarle. Gaspare
seduto in silenzio ripensava a che cosa aveva sbagliato nei rapporti con sua
nipote.
.
16)
Ostia Antica, domenica 7 ottobre.
Marco e Valeria
erano felicissimi. Il giorno dopo sarebbero andati in India col padre e con
la madre. Marco aveva tracciato a matita, sulla carta geografica, il percorso
che avrebbe fatto l’aereo per compiere quel lungo viaggio.
Come sempre,
il mese di ottobre era da loro dedicato ai viaggi intercontinentali. Nando otteneva
ogni anno, dalla sua compagnia, dei biglietti d’aereo completamente gratuiti
per sé e per la famiglia. E nel passato avevano già visitato le
Seychelles, le Maldive, le Galapagos e tutta l’Europa. Questa volta erano
diretti a Goa in India, che secondo le indicazioni di amici che già ci
erano andati, era una lussureggiante località sulla costa occidentale
della penisola del Deccan.
Zola sarebbe
rimasto a casa a riposare durante la loro assenza. Anna che andava via con un
po’ di rimorso avrebbe raccomandato come ogni volta:
“Se
ti occorre qualcosa telefona a Lory”.
“Va’
tranquilla e divertiti”, gli avrebbe risposto Zola come sempre.
Mentre il
vecchio pensava ai lavori da fare per quel periodo, intorno a lui parlavano
con entusiasmo del prossimo viaggio. Zola posò il giornale che stava
leggendo. Marco incuriosito da un titolo lo prese per leggerlo.
“Che
vuol dire rigurgito?”
“Cosa?”
“Qui
c’è scritto: Un rigurgito di razzismo sta uccidendo un uomo di
colore”.
“Vuol
dire”, spiegò Zola, “vuoi dire ritorno di liquido, come il
cibo quando dallo stomaco risale in bocca. Continua però a leggere, così
capiamo...”
“Dice
così”, riprese Marco, “Lo sciopero della fame di Lamin Moundou
lo ha ridotto in condizioni fisiche gravi. Il giovane nigeriano ha avuto un
collasso e i medici temono gravi ripercussioni sulla sua salute se egli non
riprenderà a nutrirsi regolarmente. Finalmente la fidanzata, Helen Soukiba,
è precipitosamente ritornata in Italia dalla Nigeria confermando la versione
dei fatti fornita dal fidanzato. Nonostante questo Lamin non verrà scarcerato.
Le macchie di sangue, del gruppo sanguigno della Fasano, trovate sui sedili
della sua auto, compromettono seriamente la sua posizione. Helen SouKiba ha
mandato un appello televisivo, chiedendo a chiunque abbia notizie della ragazza
scomparsa di comunicarle agli inquirenti”.
Al termine della
lettura Marco mostrò al nonno la grande foto di Fortuna Fasano nelle
pagine di cronaca e quella più piccola di Helen Soukiba. Poi chiese:
“Che
vuol dire razzismo?”
“Vuoi
dire avversione verso gli stranieri. Verso quelli che hanno un colore di pelle
diverso e una cultura diversa”.
“Perché?”
si informò Valeria per partecipare anche lei al discorso.
“Perché,
credo, che quando gli altri non ci assomigliano ci fanno paura”.
“Perché?”
insisté la bambina.
“Perché
le persone vogliono assomigliarsi”
“Assomigliarsi
come?”
"Assomigliarsi
per essere uguali nell’aspetto, per sentirsi più sicuri, per pensarla
allo stesso modo ed evitare le brutte sorprese"
“Ma
gli stranieri non ci assomigliano?” chiese Marco.
“Cercano
di non assomigliarci per non perdere le loro tradizioni”, intervenne nel
discorso il genero di Zola che era da poco uscito sul portico. “Qualcuno
- aggiunse poi - definisce nuclei anfibi i gruppi familiari o amicali stranieri,
perché riducono all’indispensabile i momenti di scambio e di confronto
con l’esterno”.
“Sono
in effetti il più delle volte comunità incapsulate che rifiutano
di omologarsi” disse Zola.
“E
secondo molti hanno ragione. Evitano di essere inghiottiti dalla cultura occidentale
dominante e perdere la loro etnicità... Ma questi sono discorsi un po’
difficili per voi bambini...”.
La figlia
di Zola li interruppe uscendo per dare il caffè a suo padre e al marito.
Portò anche un vassoio con dei pasticcini fatti al forno quella stessa
mattina.
“Papà,
senti come sono venuti leggeri e friabili questa volta”.
“Ottimi!”
confermò Zola, “ma ne hai fatti troppi. Domani partirete ed io
non li finirò di certo!”
“Ne
ho impastati un po’ in più per darli a Lory. Più tardi andrò
a salutarla e glieli porterò ad assaggiare”.
“Mamma,
tu sei razzista?”, chiese Marco
“No
davvero. Perché?”
"Si
leggeva il giornale insieme ai bambini e spiegavo loro il significato di questa
parola, che è troppo impegnativa, secondo me, per la mentalità
di noi italiani”, disse Zola.
“Beh,
non direi!” dubitò Anna.
“Tu
credi che siamo razzisti?”
“Da
quello che si sente e si legge..."
“Quello
che si sente e si legge non è razzismo”.
“No?
E che cos’è?”
“Cuculismo!”
“Cuculismo, cuculismo... Ah, cuculismo!” disse Marco ridendo.
“Il
cuculismo”, spiegò Zola, è la diffidenza che si nutre verso
chi è pensato simile al cuculo”.
“Perché?”
chiese Marco.
“Perché
la femmina del cuculo depone un suo uovo nel nido di un uccello temporaneamente
assente, e butta fuori, per creare il posto, un uccello della nidiata. Più
tardi, come se non bastasse, il giovane cuculo fuoruscito dal guscio, si sbarazza
dei suoi compagni di nido facendoli precipitare al suolo”.
“E
allora?”
“Allora
molte persone temono che possa loro accadere di essere buttati fuori dal loro
posto, dalle loro case, e per questo motivo considerano gli altri come se fossero
dei cuculi”.
“Ma
questo non contraddice la teoria dei nuclei anfibi?” chiese il marito
di Anna.
“No.
Anzi la conferma”, disse Zola “perché il cuculo non ha scambi
con l’uccello che butta di sotto. Rimane cuculo. Si sostituisce nel nido
di un altro ma continua a mangiare, fischiare, vivere da cuculo”.
“Quindi
lo straniero è un cuculo?” chiese Marco.
“Non
ho detto questo”, precisò Zola. “Ho spiegato che chi ha conquistato
un suo benessere, che è come un pezzetto di nido per un uccello, teme
che ogni straniero che arriva sia un cuculo con intenzioni di danneggiarlo”.
“Se
ne deduce che non è il vu cumprà che si teme” chiese Anna.
“No. Infatti il vu cumprà è la figura più accettata.
Si temono di più le persone preparate e pronte a tutto per farsi strada.
Intendo dire pronte a qualsiasi sacrificio. Spesso chi emigra ha molti più
numeri di chi è già residente. Se non altro per la forza di volontà
di riuscire a superare una vita di stenti per sé e per la famiglia rimasta
nel proprio paese. Poi fare il vu cumprà può essere un modo per
incominciare a guadagnare, anche di persone magari colte e con altre attitudini”.
“Il
tutto si riduce ad un discorso di egoismo!” disse Anna.
“Si”,
disse Zola. “Un egoismo proporzionato al benessere, credo. Nel senso che
chi ha molte certezze non teme cuculi”.
“Nonno,
morirà quell’uomo del giornale?” chiese Marco.
“Se
nessuno interverrà per aiutarlo può anche accadere che muoia innocente”.
Anna sorpresa
per la sua affermazione disse: “Tu credi allora che la ragazza sia viva?”,
“Sì”
rispose Zola. Quindi si alzò per andare a fare quattro passi. I ragazzi
sedettero a guardare la televisione e Anna iniziò a preparare le valigie.
La piccola piazza
Gregoriopoli, ombreggiata da fitte querce, era frequentata dagli anziani di
Ostia Antica che, restando per gran parte della giornata all’aria aperta,
godevano dell’eccezionale mitezza del clima di quell’anno.
Zola sedette
in una delle panchine di legno, s’appoggiò allo schienale e scambiò
qualche parola con gli amici di vecchia data. Al centro della piazzetta un’antica
fontana piena di muschio ospitava enormi pesci rossi e delle anguille a cui
Zola buttò poche molliche di pane. Li guardò mangiare. Stava fermo
a osservarli nel tentativo di prendersi ancora un po’ di tempo prima di
agire. Dopo poco, come uno che ha ormai deciso e per nulla al mondo può
essere fermato, si diresse verso la cabina del telefono. Compose il numero del
Messaggero. Disse al centralinista:
“Mi
passa un giornalista della cronaca?”
“Vuol
parlare con qualcuno in particolare?”
“C’è
uno che scrive di quella ragazza sparita.. .Si chiama mi pare... Gorridoni”.
“Bene”,
rispose la voce pregandolo di attendere in linea.
“Sono
Gorridoni. Mi dica”, si udì quasi subito.
“Voglio
far sapere a tutti che il giovane Lamin Moundou è innocente perché
Fortuna Fasano è viva”.
“Da
dove chiama?”
“Non
posso dirlo... Dal Lazio... Io sono una persona anziana e lei deve fidarsi”.
“Mi
fido. Si capisce dalla voce che lei è anziano. Spieghi però almeno
perché ha telefonato”.
“Per
aiutare quell’innocente”.
“E
lei crede che una telefonata anonima possa aiutarlo?”
“Per
incominciare sì. Scriva quanto le ho detto. Per ora può servire
a dargli speranza”.
“E
poi?... Perché non dice dove si trova la ragazza?”
“Assolutamente
non posso. Vede, non è affar mio”
“Lei
sa se è scappata o se altri l’hanno costretta?”
“Non
lo so”.
“E’
sicuro che si tratti proprio di lei?”
“E’
lei”.
“Qualcuno
la obbliga a stare dove sta?”
“Non
mi pare”.
“Perciò
è da sola!”.
“Credo
di sì e non ritengo che resterà nascosta ancora per molto tempo"
“Cosa
glielo fa pensare?”
“Non
posso dire altro. Devo rispettare la volontà del mio prossimo. Ho solo
cercato di aiutare quell’uomo accusato ingiustamente. Lei faccia quello
che può”.
“Posso
fare poco se non mi fornisce almeno una prova”.
Zola attese
un attimo poi chiese:
“Una
foto le basterebbe?”
“Sì,
una fotografia potrebbe essere utile. Lei ha modo di scattare un’istantanea?”
“Spero”
“Allora
provi, e se ci riesce mi richiami”.
“Mi
farò vivo per lettera”.
Lamin Moundou era
l’assillo continuo di Zola. Pensò quindi, per mantenere la promessa
fatta al giornalista, di avvicinare cautamente la ragazza per parlarle. Non
poteva fare altrimenti, né aspettare ancora.
L’indomani
la vide uscire all’alba come al solito, le andò incontro cautamente.
Lei lo scorse e si fermò. Lui la salutò con un cenno del braccio
alzato, ma la ragazza spaventata corse velocissima verso l’interno della
fabbrica. E da lì dentro non uscì per i due giorni che seguirono.
Zola nel
frattempo si limitò ad osservare l’edificio da lontano durante
le solite passeggiate mattutine.
I
cartelli degli extracomunitari sollecitavano la liberazione di Lamin Moundou.
Il folto gruppo di uomini e donne capeggiati da Helen Soukiba si era raccolto
nella strada antistante il carcere di Latina. Alla donna era stato notificato
un atto in cui la si avvertiva di tenersi a disposizione per ulteriori interrogatori
e, nel frattempo, le era stato concesso di far visita al fidanzato che versava
in gravi condizioni.
Andò
al colloquio intenzionata a convincere Lamin a smettere lo sciopero della fame.
Riferì di promesse da parte di alcune autorità, tra cui il vescovo
della città e il sindaco. L’uomo però fu irremovibile. Non
avrebbe toccato cibo fino a quando non fosse stato rilasciato rendendo pubblica
e palese la sua innocenza.
Aveva al
braccio l’ago della fleboclisi per l’immissione di sostanze nutritive.
Tuttavia il suo aspetto era macilento e impressionante. Helen gli accarezzò
le mani e iniziò a parlargli nella loro lingua. Cercò di infondergli
coraggio ma lui rispose che l’angosciava il fatto che, nonostante il chiasso
provocato dalla stampa e dai Media, Fortuna Fasano non si era trovata. Questo
gli faceva temere che forse qualcosa di male era davvero accaduto alla ragazza,
ed in quel caso per lui non ci sarebbero state speranze di salvezza.
Helen lo
baciò ed uscì. La folla dei dimostranti in attesa le si fece intorno
per chiedere notizie sullo stato di salute di Lamin. Lei spiegò che non
c’era più tempo da perdere. Occorreva che tutti insieme cercassero
di trovare una soluzione. Si diedero appuntamento in un locale nelle vicinanze
per il giorno dopo.
Quella sera
però una sorpresa l’attendeva nella piccola pensione dov’era
alloggiata. La proprietaria, una gentile signora che era al corrente della sua
vicenda le si fece incontro appena la vide per dirle:
“Buone
notizie signorina Helen!”
“Che
notizie?”
“Il
Messaggero scrive che domenica qualcuno ha telefonato alla redazione per dire
che Fortuna Fasano è viva!”
“Viva,
dove?”
“Qui
nel Lazio”.
“Dove?”
“Non
ha detto di preciso, ma pare che l’uomo manderà una foto della
ragazza”.
“Dio
ti ringrazio!” e abbracciò la donna per piangere sulla sua spalla.
.
18)
Ostia Antica, lunedì (notte tra l’8 e il 9 ottobre)
Le
due dopo mezzanotte. Zola uscì ringraziando Dio di trovarsi, in quei
giorni, a casa da solo. Questo gli permetteva di agire senza dare spiegazioni
alla famiglia. Gli era stato detto che l’orario tra le due e le tre è
quello di solito scelto dai ladri per i loro colpi notturni. Pare che a quell’ora
chi dorme non avverta rumori per la fase di sonno profondo in cui si trova.
Lui, che doveva rubare solo un’immagine, aveva paura di svegliare la ragazza.
Entrò
dall’ingresso laterale. Salì illuminando le scale con una piccola
pila. Si fermò per togliersi le scarpe e proseguì lentamente.
Al primo piano vide le due porte nella parete di fronte, entrò a sinistra
e fu nella stanza rossa. Fortuna dormiva avvolta nella coperta. Una sacca da
viaggio piena di vestiti fungeva da cuscino. Zola mise in tasca la pila, prese
la Polaroid, inquadrò, scattò. Il flash schiarì l’ambiente
e Fortuna mormorò qualcosa nel sonno. Il vecchio restò al buio
immobile e senza fiato. La ragazza però continuò a dormire tranquilla.
Lui andò nel pianerottolo, estrasse la foto, accese la pila e vide l’immagine
di lei nitida e chiara. Il mezzo busto della ragazza era inconfondibile anche
se con gli occhi chiusi e le braccia alzate sui capelli. Si inquadrava anche
un libro poggiato sul pavimento e se ne leggeva parzialmente il titolo. Il plaid
infatti copriva parte della copertina:
“L’inquinamento
da radionuc... nelle acque del Lazio merid...”
Sul frontespizio
una piantina geografica illustrava un golfo. Era il golfo di Gaeta.
Il
Messaggero aveva in prima pagina la fotografia di Fortuna Fasano. Non si capiva
granché del luogo dove si trovava perché la luce del flash aveva
rischiarato con poca profondità di campo.
I carabinieri
mostrarono il giornale a don Gaspare e a Rachele per chiedere loro se riconoscevano
la ragazza. Risposero affermativamente. L’avvocato di Lamin Moundou fece
immediata istanza di scarcerazione per il suo assistito. Il magistrato che si
occupava del caso dichiarò che esistevano numerosi risvolti da vagliare
prima di decidere in merito, ma diede buone speranze al legale. Disse che avrebbe
deciso entro breve tempo.
Una radio
locale intanto trasmise un’intervista a Clelia Lanini, l’amica di
Fortuna.
"Cosa
pensa della foto pubblicata dal Messaggero?”
"Sono
felice. Questo dimostra che Fortuna è viva"
“E
prima cosa pensava. Aveva qualche speranza?”
“Sempre.
Ho sempre saputo in cuor mio che la mia amica era viva”.
“Perché?”
“Ho
pensato, come penso, che sia andata via per dei motivi suoi, importanti e gravi"
“Cosa
glielo fa pensare?”
“Il
suo comportamento nell’ultimo periodo prima di scomparire. Era seria,
triste, parlava poco, non rideva. Tutto un comportamento anomalo rispetto al
suo modo di essere. Lei era sempre stata gioviale, allegra, loquace..."
“Quindi,
che cosa l’aveva cambiata?”
“Non
so. Mi attendevo da un momento all’altro che si confidasse con me. Invece
è sparita.
“Siete
compagne di scuola?”
“Sì.
Eravamo nello stesso banco dalle medie fino in quinta liceo. Poi lei ha voluto
fare un corso da radiologa, io invece mi sono indirizzata verso quello da infermiera
professionale”.
“Quindi
le vostre strade si sono divise”.
“No,
perché uscivamo insieme. Lei poi si interessava molto al mio lavoro.
Si interessava alle malattie dei bambini, si informava sulle anomalie...”
“Perché?”
“Non
lo so forse la vicenda di sua madre la tormentava ancora?”
“Probabilmente...
quella repentina scomparsa... credo sì... che non abbia mai accettato,
né superato quel dramma... Odiava la Centrale..”
“Non
aveva un fidanzato?” Negli ultimi tempi no”.
Cosa vorrebbe
dire alla sua amica se oggi l’ascoltasse?”
“Di
farsi aiutare. Di chiamarmi o scrivermi... Le direi che ho il cuore pieno di
gioia perché oggi ho avuto la conferma che è viva.”
.
20)
Ostia Antica 14 ottobre.
Zola
non riusciva a dormire. Erano le quattro del mattino e stava a letto in attesa
che le prime luci dell’alba filtrassero attraverso le persiane. Udì
il vento sbatacchiare la porta del pollaio e si alzò. La chiuse agganciandola
bene. Fece il giro della casa, poi rientrò e si rimise a letto. Era solo.
Non per la prima volta era solo. Per la prima volta però si sentiva inquieto.
Si vesti,
fece colazione ed uscì. Si diresse verso il boschetto.
La fabbrica gli
apparve oltre i pini. Osservò l’ingresso da cui di solito Fortuna
usciva e attese.
Un rumore
alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Era un topo. Lo vide scendere da
un tronco fino a terra. Cambiò posto. Si andò a nascondere dietro
un fitto cespuglio di corbezzoli. Aspettò con pazienza.
Passò
mezz’ora. Poi decise di entrare per controllare che cosa fosse successo.
Salì. Si fermò sul pianerottolo, sentì un gemito e restò
immobile; indeciso se proseguire o tornare indietro. Udì ancora dei lamenti
e a quel punto guardò nella stanza. Si affacciò piano e vide la
ragazza sdraiata col viso contratto da una smorfia di dolore. Entrò allora
e si fermò nel mezzo del locale, incredulo e timoroso.
“Lei!”
disse Fortuna vedendolo.
“Sono
qui per...”
“Mi
aiuti!” disse Fortuna.
“Che
ha?” chiese lui.
“Sta
per nascere mio figlio. Mi aiuti!”
“Ma...
l’accompagno in ospedale... chiamo qualcuno!”
“No. Non c’è tempo. Sta per nascere. Mi deve aiutare lei!..”
“Come?... Cosa posso fare?” disse il vecchio cercando di non perdere
la calma...
“Le dirò io, mi ascolti...C’è dell’acqua bollita
già pronta...”
“Cosa?...”
“Faccia presto!
”“Cosa?...”
“Prenda
quel vecchio lenzuolo che è nella mia sacca e lo strappi in due pezzi.
Uno lo dia qui a me, l’altro servirà per avvolgere il bambino...
Ecco, ci siamo. Si sbrighi!..”
Zola eseguì.
Le si accucciò accanto osservandola respirare con affanno. Tentò
di dire qualche parola di conforto mentre il respiro di lei si faceva concitato.
Col lenzuolo in mano si avvicinò il più possibile al corpo della
ragazza perché vide la testina del bambino emergere. Fu pronto a prenderla
delicatamente tra le mani, poi assecondò l’espulsione preoccupandosi
di raccogliere il corpicino tra i suoi avambracci.
Nel
bar della piazza alle sette di mattina gli avventori raggruppati vicino alla
cassiera ascoltavano le ultime notizie del giornale radio:
La fotografia pubblicata
dal Messaggero, pur non utile agli inquirenti per conoscere il luogo in cui
si trova Fortuna Fasano, ha dato una svolta certa alle indagini chiarendo le
motivazioni che avrebbero indotto la ragazza a fuggire. Un particolare della
fotografia è stato infatti notato da un lettore del quotidiano che ha
riconosciuto il frontespizio di un testo intitolato:
“L’INQUINAMENTO DA RADIONUCLIDI NELLE ACQUE DEL LAZIO MERIDIONALE” - La nostra redazione ha prontamente cercato il libro presso il suo editore e oggi è forse in grado di intuire che cosa preoccupa la ragazza di Ciaccolo...
Leggendo
con attenzione le pagine del volume fotografato accanto a Fortuna Fasano, un
senso di profonda angoscia ha pervaso ognuno di noi. Quello che stiamo per dirvi,
probabilmente non corrisponderà totalmente alla verità. Noi speriamo
anzi, con tutta la forza che possiamo esprimere, che neanche una parola di quelle
scritte nel volume che adesso leggeremo, interessi minimamente Fortuna Fasano
e i motivi della sua fuga da casa. Tuttavia, abbiamo un dovere di cronaca, ed
abbiamo pure un dovere etico che, se fosse ve vero ciò che pensiamo,
ci impone di parlare e diffondere questa vicenda dandole il massimo della pubblicità
possibile, perché mai come adesso i mass media avrebbero compiuto il
loro dovere. Leggiamo quindi qualche stralcio dal testo.
“Il
mare che dalla foce del Volturno va fino al Circeo...”
.
22)
Ostia Antica 15 ottobre, ore 7,00
“Oplà,
bellissima creatura, eccoti nato!” disse Zola con un moto di gioia.
“Com’è?”
chiese Fortuna.
“Bambino
magnifico!”
“Non
ha difetti?”
“Assolutamente
no!”
Fortuna chiese di
vederlo. Il vecchio pulì il visetto del bambino col lenzuolo e glielo
avvicinò. Lei iniziò a piangere piano e a raccontargli della sua
convinzione di partorire un figlio malformato. Spiegò i motivi delle
sue ansie, ma fu interrotta da nuove fortissime doglie che le toglievano il
fiato.
“Che
mi succede?”
“Attenzione!..
sta nascendo un altro bambino!” disse il vecchio.
Sì
un altro!
"Spinga
come prima! Su, che io sono qui pronto. Coraggio!”
Qualche minuto più
tardi la testina venne fuori e, come era ma accaduto per l’altro nascituro,
essa subì una rotazione spontanea verso la coscia sinistra della madre.
Fu in quel momento che Zola poté vederne il volto e si accorse dell’unico
occhio che esisteva in quel minuscolo viso. La gioia dell’uomo si trasformò
in dolore e terrore.
“E’
Polifemo?” chiese la madre con la voce incrinata.
“Se
intendi chiedermi se il tuo secondo figlio ha un solo occhio. devo risponderti
di si” disse Zola che di fronte a quanto terribile le appariva il dolore
di lei, ebbe voglia di abbracciarla. Non lo fece, ma le disse dandole del tu:
“Figliola,
Dio misericordioso lo ha fatto nascere morto”.
“Morto?”
“Non
respira. E’ un povero corpo senza vita. Non guardare. Non meriti di soffrire
ancora.
“L’ho
già visto”, disse lei, “Mi ero fatta l’ecografia già
da molto tempo e quell’immagine è stata per me indimenticabile”.
Poi pianse. Debolissima e stanca osservò il vecchio prendersi cura delle
sue creature. Lo guardò con gratitudine, poi si estenuata chiuse gli
occhi e si addormentò.
Zola vegliò
su quel sonno e prese a leggere le frasi scritte sulle pareti rosse:
“ENFIN
JUSTE APRÈS MIDI LE SOLEIL S'ÉCLIPSE DERRIÈRE LES PREMIERS
ARBRES DU “BOSCHETTO”, DERRIÈRE LE COIN DE CE BÀTIMENT
ET IL ÈTEND SUR L’HERBE L’UN DE SES RAYONS, QUI PRESQUE COMME
UN SENTIER ÉVITE DE FLORER LES PINS DE SA LUMIÈRE INCANDESCENTE.
ON RESPECTE, DE CETTE FAÇON, L’ORDRE NATUREL, QUI S’ÉTABLIT
APRÈS LA CONSTRUCTION DE CE BÀTIMENT, MAIS DONT SONT ÉNORMITÉ
N’ARRIVE PAS À ENVAHIR LA CALME ARCHITECTURE DE LA FLORE EXISTANTE.
MOI QUI ÉCRIS,
J’AI LONGTEMPS MARCHÈ AVANT DE M’ARRETER ET JE VIS DANS CE
LIEU DEPUIS TROIS MOIS J’HABITE UNE CHAMBRE QUE J’AI PEINT EN ROUGE
AVEC DE LA PEINTURE TROUVÉE DANS DES POTS ENCORE NEUF OUBLIÈS
DANS UN COIN DE L’ESCALIER. CHAQUE NUIT JE REVE QUELQUE CHOSE QUE JE N’ARRIVE
PAS À BIEN COMPRENDRE, MAIS QUI MAINTENANT ME POUSSE À ÉCRIRE...
AVEC DE LA PEINTURE PLUS FONCÉE SUR LE ROUGE DE CES MURS.
CHAQUE NUIT
JE SENT PLEURER UN ENFANT. CHAQUE NUIT. SES VAGISSEMENTS RETENTISSENT DANS LE
BÀTIMENT JUSQU’À CE QUE ME RÉVEILLE, MON COEUR BAT
LA CHAMADE ET JE SUIS PLEIN DE PEUR.
DE QUI EST
CET ENFANT?
POURQUOI
PLEURE-T-IL?
JE N’AI AUCUNE
RÉPONSE ET JE NE COMPRENDS PAS. JE N’AI PAS D’ENFANTS. JE
N’AI LAISSÉ AUCUNE FEMME DANS LES VILLES QUE J’AI HABITÉES.
JE N’AI PAS DE REMORDS. DE QUI EST ALORS CET ENFANT EN LARMES?”
S’IL
S’AGISSAIT D’IL Y A QUELQUES MOJS. JE POURRAIS PENSER QUE CE SONT
DE HALLUCINATION DU À L’UTILISATION DE DROGUES. SI CELA C’ETAIT
PASSÉ À
BOMBAY OÙ
À AMSTERDAM, JE NE SERA IS PAS INQUIETÉ DES DÉLIRES QUE
LA FANTAISIE, ÉBLOUIE, ME PRÈSENTAIT AUJOURD’ HUI AU CONTRAIRE
JE SUIS SOBRE J'AI VOULU VIVRE ICI AVEC LE PEU DE CHOSES DONT J'AI BESOIN POUR
SURVIVRE ET J'AI REUSSI, LOIN DE TOUTS, À ME DÉSINTOXIQUER. PLUS
PERSONNE NE M'OFFRE DU POISON LA MAGIE DE CETTE NATURE M'A SOULANGÉ ET
ME SATISFAIT. JE ME SUIS RÉAPPROPRIÉ DE MON EQUILIBRE INTÉRIEUR
ET DANS PEU DE TEMPS JE VAIS PARTIR DANS LE MONDE. JE SUIS FORT J'AI SOUFFERT,
OUI, LE PREMIERS JOURS. JE DONNAIS DES COUPS DE POING AU MUR POUR ME FAIRE MAI.
ET OUBLIER L'AUTRE DOULEUR; POUR SOURMONTER L'ABSTINENCE QUI ME BOULEVERSAIT
L'ESPRIT ET LES VISCERE.
APRÈS,
JE SUIS ARRIVÉ. JE SUIS FIER DE MOI. PERSONNE NE ME DONNERA PLUS DE POISON.
JE SUIS FORT MAINTENANT. JE FAIS AUSSI PARTIE DE CETTE NATURE VIGOUREUSE QUI
NE FAIT PAS D'ERREUR, ET QUI AU PIRE PRODUIT DES BLESSURES QUI SOIGNÉES
SE GUERISSENT..."
(Finalmente, dopo mezzogiorno, il sole s’eclissa tra i primi alberi del
“boschetto” e lo spigolo dell’edificio, stendendo sull’erba
un raggio, quasi un sentiero, che evita di sfiorare i pini con la sua luce incandescente.
Si rispetta, in questo modo, l’ordine naturale che si instaura dopo la
costruzione dell’edificio, che enorme, non riesce però ad invadere
la calma architettura della flora qui esistente. Io che scrivo ho camminato
a lungo prima di fermarmi, e vivo in questo posto da tre mesi. La stanza che
abito l‘ho dipinta di rosso con la vernice trovata in dei barattoli ancora
nuovi dimenticati in un angolo della scala. Ogni notte sogno qualcosa che non
riesco a comprendere bene, ma che mi spinge a scrivere adesso, con la vernice
più scura sul rosso della parete. Ogni notte odo piangere un neonato.
Ogni notte. I suoi vagiti riecheggiano nell’edificio fino a svegliarmi,
col cuore in gola e la paura.
Di chi è
figlio quel bambino?
Perché
piange?
Non ho risposte
e non comprendo. Non ho figli, non ho lasciato donne nelle città che
ho abitato. Non ho rimorsi. Di chi è allora questo neonato in lacrime?
Si trattasse
di qualche mese fa, potrei pensare che le mie sono allucinazioni dovute all’uso
di droghe. Fosse accaduto a Bombay, o ad Amsterdam non mi sarei preoccupato
dei deliri che la fantasia abbagliata mi presentava. Oggi invece sono sobrio.
Ho voluto abitare qui col poco che mi serve per sopravvivere e sono riuscito,
lontano da tutti, a disintossicarmi. Nessuno più mi offre veleni. La
magia di questa natura mi ha lenito e mi appaga. Ho riacquistato un mio equilibrio
interiore e tra poco andrò via a camminare per il mondo. Sono forte.
Ho sofferto sì i primi giorni. Battevo i pugni sul muro per farmi male
e dimenticare l’altro dolore, per superare l’astinenza che mi sconvolgeva
la mente e le viscere. Poi ce l’ho fatta. Sono fiero di me. Nessuno mi
darà più veleni. Sono forte adesso. Faccio parte anch’io
di questa natura vigorosa che non fa errori, e al massimo produce ferite che
medica te guariscono...)
Zola tradusse le frasi della parete rossa fino al punto in cui anche lui si addormentò.